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Nera – Raccolta di racconti ispirati alla cronaca nera

È uscita la raccolta di racconti della giornalista freelance salentina Elisabetta Esposito, ispirati alla cronaca nera e dal titolo appunto di “Nera”. Si tratta di un viaggio attraverso tredici narrazioni. Dodici di esse hanno una base in alcuni casi più o meno noti: il massacro del Circeo, la strage di Cielo Drive, il suicidio di Marilyn Monroe, l’omicidio dell’attore Carl Switzer – che fu Alfalfa in “Simpatiche canaglie”, le accuse di omicidio nei confronti del comico del cinema muto Roscoe Arbuckle, l’assassinio di John Lennon, il disastro aereo del volo Alitalia 404 in cui morì l’attore di “Mery per sempre” Roberto Mariano, la serial killer Leonarda Cianciulli, l’attentato a Charlie Hebdo, la leggenda metropolitana sulla lavorazione di “Nosferatu”, le scomparse di Emanuela Orlandi ed Elisa Claps. L’ultimo racconto è dedicato a un amico salentino dell’autrice, scomparso a seguito di un incidente: l’autrice ha immaginato il suo ultimo giorno gioioso prima della sua tragica morte.

La raccolta, in cui i racconti che la compongono sono narrati dal punto di vista della vittima o del carnefice (o in un caso di un osservatore empatico, un carabiniere che ritrova Donatella Colasanti e Rosaria Lopez nel bagagliaio di un’auto) si apre con una citazione tratta dal romanzo “Imperial Bedrooms” di Bret Easton Ellis. Tutti i racconti, anche se presentano pochi dettagli realmente accaduti, sono completamente frutto di fantasia.

Il libro, autoprodotto, può essere acquistato su Amazon in versione cartacea (https://amzn.to/2ABahPe) o ebook (https://amzn.to/2ZaC3w1). 

Qui di seguito il contenuto della prefazione. Per eventuali recensioni, contattatemi e vi fornirò il pdf usato per l’edizione ebook. In allegato la copertina dell’ebook.

«Non è andata proprio così. Anzi, non è andata affatto così, in molti casi. Emanuela Orlandi è scomparsa senza lasciare traccia, non si conoscono le ragioni della rissa che ha portato alla morte Carl Switzer, John Lennon è morto per mano di un folle, non per essersi attirato la sfortuna.

Qualcuna di queste storie ha ripreso una parte della cronaca reale, pur venendo comunque romanzata. Da piccola, mi sono ritrovata a leggere su un giornale del Massacro del Circeo: pensai alla paura che devono aver avuto quelle due ragazze in quei giorni terribili. Non riuscivo a comprendere perché le persone compissero degli atti tanto brutali. Se è per questo non lo comprendo neppure ora.

Avrei potuto dare un finale diverso, uno in cui Donatella e Rosaria sono ancora vive e si vendicano, un finale che sarebbe piaciuto a Quentin Tarantino come nei film rape & revenge. Ci piace pensare che le brutte storie possano essere solo frutto di fiction, e che al tempo stesso la fiction serva a dare un lieto fine alle storie che scriviamo. Ma non è così. Non sempre almeno.

La verità è che la storia di Donatella e Rosaria mi ha impressionata talmente da bambina, che ho capito cosa avrei fatto da grande: la giornalista. Al mio primo colloquio di lavoro dissi a quello che sarebbe stato il mio futuro capo redattore che avrei desiderato scrivere di cronaca nera. E ancora oggi, con il mio lavoro di giornalista, mi occupo talvolta di cronaca nera. Che in una piccola città in cui non c’è mai un grosso tasso di delinquenza significa scrivere di furtarelli – che spesso si risolvono in un arresto e nel recupero della refurtiva – oppure incidenti stradali o abusi su animali. Non ci sono serial killer al mio paese, non ci sono teorie del complotto, anche se ci sono parecchi complottardi, talvolta con mio grande spasso. E quelli non solo al mio paese. Perché in fondo non ho mai capito cosa ci fosse di più marcio da vedere, da trovare, nel nero di una società già di per sé marcia.

Qualche volta ho anche pianto, mentre scrivevo di cronaca nera. Questo a testimoniare che non siamo insensibili noi giornalisti, che riusciamo a essere empatici con le vittime. Ma quando la vera cronaca nera ci permette un certo distacco, allora sì, può diventare fiction. Forse è come dice Woody Allen, la commedia è tragedia più tempo, ma è difficile scherzare con queste storie, anzi è impossibile. Mentre scrivevo, mi è stato impossibile non pensare ai parenti ancora in vita delle vittime, soprattutto di quelle italiane. Non è per una questione di nazionalità, ma perché la cronaca quotidiana me le ha fatte sentire sempre abbastanza vicine.

Scegliere queste storie non è stato facile, anche se ho attinto alla mia grande passione, quella per il cinema. Nel cinema esistono moltissime teorie del complotto, leggende metropolitane e qualche caso mai davvero concluso, come per la vicenda che accompagna la morte di Marilyn Monroe. Marilyn per me non è stata solo una grande attrice, non è solo un’icona, ma è anche l’emblema di noi donne che soffriamo pur di essere amate. Ed è straziante, paradossalmente straziante, che la donna più amata del mondo fosse in realtà così sola, che tutti i suoi traguardi non le avessero portato la felicità.

L’ultima storia in particolare racconta di un mio amico. Alla fine pure lui è finito in cronaca nera suo malgrado, anche se non è stato ucciso, è morto a causa di un incidente in mare. Quando ho visto la sua foto sul giornale ho avuto un colpo al cuore. Capita a tutti quando vediamo qualcuno che abbiamo conosciuto e che, da quelle pagine, scopriamo essere scomparso. Non capita solo agli operatori dell’informazione. Anche se non facevo più parte della sua vita da tempo, mi sono ritrovata spesso a sentirne la mancanza. Non era un’assenza reale, era invece l’idea che qualcuno così simile a me, che mi è stato molto vicino per una parte della mia vita, avesse avuto un destino così diverso dal mio. 

Le persone come me guardano i film dell’orrore. C’è una spiegazione in questo: la fiction richiede che quello che si sta guardando sia finto, perché l’orrore è quotidiano, lo esperiamo ogni giorno, come ben notava Kurtz alla fine di Cuore di Tenebra (e Allen durante Basta Che Funzioni). I film dell’orrore contribuiscono ad allontanarci, a prendere le distanze dall’orrore reale, a sentirsi sollevati se c’è un lieto fine, a parteggiare per il bene, per i buoni.

A volte ho posto l’accento sul punto di vista dei cattivi. Non per giustificarli, ma per provare a capire cosa significhi essere così vicini al male. Forse perché per me è così facile parteggiare per i buoni. Sarà che i buoni nella realtà sono tutti antieroi, come Batman e Paperino.

Il vero orrore esiste, è nelle pagine dei giornali, nei suicidi, negli omicidi e in quella parola tanto tristemente diffusa oggi, nei femminicidi. Per cui, per una volta, ho voluto fingere che fosse tutto irreale, che fosse tutto fictional, come nei film. Anche se questo forse significa riaprire una ferita.

Per cui non me ne vogliano i parenti delle vittime. Anzi, queste storie parlano anche di loro, magari con l’idea di dare perfino un filo di speranza. Perché la speranza, almeno quella, è dura a morire.»

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