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Matilde Montinaro scrive al fratello Antonio, caposcorta di Giovanni Falcone

23 maggio 1992 – 23 maggio 2020

Caro Antonio,

questa sera sento il bisogno di dirti parole che vorrei fossero nuove, ma so per certo di non dirti nulla che tu non sappia già!

Sarà una sorpresa per te ascoltare queste mie righe, scritte in una fresca serata di silenzio di un periodo di emergenza sanitaria, inattesa e drammatica, che ha costretto tutti noi a fermarci, che ha ridotto il nostro spazio di movimento e di azione e ci ha obbligato a vivere uno stile di vita nuovo. Ho riaperto un cassetto, uno di quelli che si tiene chiusi per anni. Sai, ho sempre creduto che tra le cose più belle della nostra vita ci siano i ricordi, credo siano persino più belli dei sogni, perché nei ricordi resistono frammenti di realtà. Certo, i ricordi possono essere neri, tristi, ma senza di essi non siamo nulla e a volte possono diventare per noi un regalo da aprire quando desideriamo riempirci di gioia.   

È una sera senza luna questa, c’è una nuvola che disegna strane figure nel cielo scuro, ed io con in mano vecchi giornali e qualche foto riavvolgo il nastro della nostra vita. Il mio pensiero va a quando da bambini quei disegni ci portavano a immaginare di affrontare belve strane e sconosciute e tu t’imponevi il coraggio di combattere battaglie per liberare il mondo. Quelle belve che da bambini immaginavamo, poi hanno preso corpo e tu hai dovuto affrontarle davvero un giorno di maggio.

“Fiore di maggio” cantava una delle tue canzoni preferite e a noi, da bambini, in un’infanzia semplice, ma piena di vita, quel mese, forse per il risveglio completo della natura che vivevamo spensierati nel nostro giardino, ci trasmetteva forti emozioni. Mai, e dico mai, avrei immaginato, che col tempo, questo mese avrebbe assunto un “colore” diverso e che quelle emozioni avrebbero lasciato il posto alla tristezza, al dolore alla rabbia.

Il 23 maggio del ‘92 caro, Antonio, ha cambiato la vita e, forse, anche la storia di questo Paese.

La strage di Capaci. È così, sai, che è passata alla storia. Ha fatto capire anche ai più riottosi sostenitori della tesi avversa che la mafia esisteva, era pericolosamente attiva e viveva di collusioni, omicidi, stragi e di un rapporto con una politica corrotta che le aveva permesso di sopravvivere, anzi prosperare, in 50 anni di Repubblica.

Quei 600kg di tritolo, esplosi sotto l’autostrada che collega Puntaraisi a Palermo e che tu, Rocco, Vito, il dott. Falcone e la dott.ra Morvillo, percorrevate, sono entrati violentemente in casa nostra e da allora niente, dico niente, è stato più come prima. Osservando nostra madre negli anni in cui è sopravvissuta alla tua assenza, ho capito che il dolore straziante non ha data di scadenza: quel dolore   ha continuato a scavarle dentro, diventando nel tempo suo compagno di vita.

Quello che abbiamo vissuto è stato un momento fortissimo, ma, nonostante ciò, abbiamo cercato ogni giorno di onorare il tuo coraggio provando anche a farlo nostro conservando la memoria di quella tragedia. E lo facciamo ogni giorno, prendendoci cura del tuo ricordo, cercando di essere la tua voce, riportando al cuore di tanti la tua storia, che racconta di violenza ma che ci restituisce anche la speranza, il bisogno di pace, di democrazia e di giustizia. La tua, Antonio, è la storia di un giovane del sud della Puglia che ha vissuto i sogni, le speranze, le preoccupazioni e i dubbi della sua età. È la vita di un ragazzino con una inconsapevole “profondità”, ritrovata poi, in una professione che hai vissuto con autentica Etica, diventando “eroe” tuo malgrado.  La tua una scelta che ti è costata la vita ma che non ha tradito il tuo senso del dovere. Senso del dovere che non ha ceduto il passo nemmeno di fronte alla paura di morire, senso del dovere che trapela ancora oggi in una tua intervista che io considero il tuo testamento morale: “Chiunque fa questa attività, – dicevi- ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualcosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana […]”.

Oggi avresti 58 anni e, per i tanti ragazzi che ti hanno conosciuto attraverso i nostri racconti, sei come un papà: pensa che molti di loro hanno cominciato a “camminare” a partire da un’emozione accesa in loro dalla tua storia. Il tuo sogno, quello di Antonio Montinaro, è diventato per loro impegno, memoria operante per costruire una società migliore. Quello che è successo appartiene ormai alla storia di questo nostro Paese e, se mi soffermo un attimo a riflettere, mi rendo conto che sono passati 28 anni, ma la tua immagine per me è ferma lì, a quell’età in cui la tua vita è stata spezzata, 29 anni.

Ma io so, che, nonostante la tua breve esistenza, è come se tu avessi vissuto tante vite. I tuoi anni sono valsi almeno il doppio o il triplo, e allora mi piace immaginarci, oggi “diversamente giovani”, come direbbero i nostri figli, seduti qui a guardare, in una serata silenziosa senza luna, una nuvola che disegna strane figure nel cielo scuro.  E tu a raccontare di te, con la tua ironia e la tua chiacchiera, e io a dirti come quando eravamo ragazzi: “Antonio, statti zitto un pochino… riposati, fumati una sigaretta”.  E pensare, però, in quello stesso istante, che essere tua sorella è stata sempre una sfida difficile, ma anche un orgoglio e un onore che mi ha portato a fare del tuo esempio il mio impegno.

Ciao Antonio”.

Matilde Montinaro

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