11 Nov 2020
I fossili di Ammoniti nel pavimento della basilica di Sant’Antonio di Padova esaltano il sacro dell’Homo sapiens
Note introduttive ai confini dei saperi. Non è la prima volta che illustro al lettore del sistema digitale i fossili di ammoniti nel pavimento della Basilica di Sant’Antonio di Padova. Perché non farlo se uno riesce a vedere anche in terra e non solo in cielo? I fossili del pavimento della Basilica dei Frari di Venezia li resi di dominio pubblico il 7 luglio 2015 sul medesimo media dove avevo descritto, il 23 maggio 2012, quelli del pavimento del santuario padovano, che possono avere un’età di circa 86 mln di anni, Santoniano, terza epoca del Cretacico superiore. Penso che uno sguardo verso la terra e non solo verso il cielo delle chiese può fare più luce e aiutare l’Uomo a ricercare il senso della vita e il sacro che ha dentro il proprio DNA. Sorprende vedere, da quanto è dato sapere anche oggi col comodo sistema digitale globale, che nessuno si è mai interessato dei fossili di Sant’Antonio di Padova, a parte il noce di Camposampiero (PD) illustrato dall’amico, Agronomo, e preside dell’ITAS “Duca degli Abruzzi” di Padova, Luigi Spolaore, che mi scrisse la presentazione del saggio ”Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio”, Energie culturali contemporanee editrice, Padova 2011
Vi è pure un discreto patrimonio botanico al Santo, soprattutto ai lati nord e sud, dove vi sono gli orti e la maestosa magnolia di 210 anni nel giardino centrale, del chiosco detto del Capitolo con Penitenzieria, da ammirare insieme ad altri elementi paesaggistici tra religione e natura. Orgoglioso è il comunicato francescano in digitale”Dopo diversi anni di lavoro e ricerche, attraverso le biotecnologie più avanzate siamo riusciti a clonarla ottenendo piantine controllate geneticamente per l’identità mediante Fingerprinting (che ne è l’impronta digitale genetica) e ad ottenere dalla Basilica Pontificia l’esclusiva della vendita allo scopo di offrire a tutti i devoti e a tutti quelli sensibili a questa tradizione, un ricordo vivente di Sant’Antonio. In effetti quella che proponiamo non è la figlia della magnolia ma la magnolia stessa in miniatura dal portamento compatto ed elegante che può essere collocata sia sul balcone di casa o in piena terra una volta esaurita la sua funzione ornamentale in vaso. La piantina benedetta è disponibile…” La cura e l’animazione spirituale della Basilica del Santo è affidata a religiosi francescani dell’”Ordine dei Frati Minori Conventuali”, una delle 3 famiglie del primo ordine francescano. In particolare i frati di Padova fanno capo alla circoscrizione del nord Italia chiamata “Provincia Italiana di S.Antonio di Padova“, realtà nata nel 2013 dall’unione delle antiche “Provincia Patavina di S. Antonio” e della “Provincia Bolognese di S. Antonio”. Lo stesso s. Antonio fu frate Ministro provinciale di queste terre. In Basilica vivono una cinquantina di religiosi, alcuni anche di altre nazionalità, che possono garantire i servizi liturgici e religiosi anche nelle lingue straniere perpermettere ai tanti pellegrini provenienti da ogni dove di vivere un’esperienza intensa e fruttuosa. Non mancano religiosi dediti ai servizi caritativi connaturali all’esperienza francescana e antoniana come l’Opera del Pane dei Poveri; Caritas Antoniana. Altri poi impegnati più attentamente al servizio culturale: Basilica Antoniana, Centro Studi Antonianie al servizio editoriale: Messaggero di Sant’Antonio, apprezzata rivista in varie lingue-edizioni, anche in lingua romena che spesso portavo alla mia scuola di servizio in Transilvania. Non lontano dalla Basilica sorge il Seminario Teologico S. Antonio Dottorepresso il Convento/Istituto S. Antonio Dottore per la formazione umana, spirituale e teologica dei giovani frati minori conventuali alla sequela di Cristo sui passi di san Francesco e sant’Antonio. Tra le pubblicazioni primeggia la rivista «Messaggero di sant’Antonio», il mensile cattolico più diffuso d’Italia, che viene stampato anche in un’edizione per gli italiani all’estero e in altre sette edizioni in lingua straniera: inglese, francese, tedesco, rumeno e polacco.L’editrice pubblica pure il «Messaggero dei ragazzi». Notevole inoltre la produzione libraria, con un centinaio di novità l’anno, soprattutto nei settori della liturgia, della spiritualità, del francescanesimo e della cultura religiosa. Ricordo la processione con i Cavalieri del Santo Sepolcro di cui faceva parte il mio collega di storia, Aldo Francesco Barcaro, del liceo scientifico di Dolo (VE)1980/81 ed autore di saggi coraggiosi anche di storia e religiosità dell’Est Europa.
Ammoniti, fossili guida dell’era Mesozoica, sono abbastanza diffuse nei marmi del territorio, veneto in particolare, alcuni sono stati datati alla fine del periodo Cretacico superiore dell’era Mesozoica. Una rilettura del saggio dell’inglese Martin Welles del 1968 “Lower Animals” (Gli animali inferiori) cioè gli invertebrati, mi fa risvegliare l’interesse verso le “mie” scienze naturali, che non è di pochi saperi, né esaustivi. Welles scrive quasi in premessa del saggio che ”Ridotta a livello chimico, la distinzione fra sostanza vivente e non vivente diviene imprecisa”. Nelle 2 foto evidenzio me al museo di Storia naturale di New York e l’Evoluzione geo-biologica. Il chimicorusso, I. Mendeleev, diceva che la vita e la morte non sono altro che una combinazione diversa di elementi chimici. I Latini scrivevano “Vita mutatur non tollitur” (la vita muta ma non muore). Oggi che un pezzetto di RNA e proteine (coronavirus che causa la covid19) spaventa il mondo intero, Welles mi illumina ancora quando precisa ”I virus si compongono solamente di acido nucleico e nel contesto della cellula vivente alterano rapidamente i materiali trasformandoli in soggetti del loro stesso genere e…sono potenzialmente immortali…siamo indotti a supporre che la sostanza vivente si originò da organismi non dissimili dai virus”.
Sul genere i vocabolari, e gli esperti della lingua, si dividono, ma pare che non pochi paleontologi preferiscano il genere maschile che è unico per i Molluschi, philum d’appartenenza tassonomica. Il nome Ammonite deriva da Ammonis Cornu, nome latino di origine greca, neutro. Da questo si origina il nome latino Ammonites, che è un sostantivo maschile. Del pavimento della Basilica antoniana patavina, non è dato conoscere ancora la provenienza, né l’esatto tempo di messa in opera. Ciò che preme ribadire è il fossato o il muro, parafrasando il papa attuale, esistente in Italia non solo, tra saperi umanistici e naturalistici, che non permette alla prima di guardare anche a terra della basilica antoniana patavina e ai secondi di non entrarvi oppure di snobbare i fossili del suo pavimento. Non pochi naturalisti, spesso figli o nipoti della cultura liberale di fine XVIII sec, ritengono dannoso interessarsi di contorni dell’arte e del sacro, né alcuno, si ripete, oltre lo scrivente, si sia mai degnato di illustrare i fossili delle chiese, ma solo di cave e di pietre isolate come in genere fanno i cultori di Paleontologia, che non mischiano tale sapere con quello dei saperi religiosi o umanistici. Ma osare non è ascientifico, nè peccato si spera, come credo che non pecchi il noto fisico vicentino, ma ormai statunitense da decenni, Federico Faggin, Alumno dell’Università di Padova, che si interessa anche di Consapevolezza e di sacro. Per le critiche preferisco rifarmi alla Fisica: ad ogni azione corrisponde una reazione e al più simpatico eufemismo “chi non si muove non genera attrito”. La Basilica e Sant’Antonio padovani, conosciuti dagli indigeni semplicemente come il Santo, è una delle più grandi chiese del mondo ed è visitata annualmente da milioni di pellegrini, che ne fanno uno dei santuari più venerati del mondo cristiano. Piace riportare la raffigurazione pittorica della basilica dell’austriaco Rudolf von Alt di fine 1800.
Spesso sono stato ad osservare le molte colonne, tombe medievali, scritte in latino e icone di arte sacra nella Basilica di Sant’Antonio di Padova, di cui alcune ammirate meglio sotto la colta guida di Walter Visentin, collega e già docente di religioni al corso serale delle medie superiori ”P. F. Calvi” di Padova, fino al 2004 quando partii per insegnare 5 anni all’estero in ambiente religioso ortodosso ”Liceo Tecnologico “Transilvania” Deva/HD, Romania. In quel liceo straniere le discipline venivano impartite per piani: al piano terra la presidenza, biblioteca e aule dei saperi umanistici, al primo piano i saperi scientifici e al secondo piano quelli tecnologici, un collega che insegnava lingua e letteratura italiana, Gabriel Nitu, è divenuto poi prete ortodosso e capitano di polizia,l’ultima volta che l’ho visto mi ha illustrato l’arte sacra della chiesa della polizia jud. di Deva (Hunedoara). Ricordo che là, l’anno scolastico, iniziava con il vescovo insieme alla preside e chimica, Maria Andrei, e si pregava con i 100 docenti e più di 1000 studenti. Ciò significa che tra potere civile e religioso c’è meno separazione che non in Italia, Francia, Spagna, Germania, ecc.. Nella Basilica di Sant’Antonio di Padova, ci sono le reliquie del colto monaco Fernando da Lisbona o frate Antonio da Padova, Dottore della Chiesa, morto all’età di 36 anni a Padova il 13 giugno 1231. Nel medesimo ambiente religioso vi sono alcuni esemplari di ammoniti fossilizzati che ho visti, più volte, e in particolare, a destra dell’altare maggiore, osservandolo di fronte. I meravigliosi fossili sono inseriti nelle rocce del pavimento, forse calpestati dai visitatori dalla fine del 1200 (in 8 secoli almeno 3 miliardi di persone per 6 miliardi di piedi e di scarpe), mentre ammiravano altro della Basilica, che è il complesso architettonico più famoso e ricco d’arte della città di Padova con la sua antica università che espone un A. all’ingresso.
Una Basilica simile alla padovana, pure dedicata al medesimo francescano, ma più piccola, l’ho ammirata a Istanbul. I Molluschi, A., esaminate a Padova sono fossili guida dell’era geologica Mesozoica, quella dei dinosauri per intenderci, durata da circa 230 a 65 mln di anni fa quando precipitò sulla Terra un catastrofico meteorite formando la penisola dello Yucatan. Fin da piccolo, mi è stata potenziata da mio padre l’ansia di conoscere oltre il piccolo paese nativo di montagna appenninica, Letino nello storico territorio del Sannio. Mia nonna paterna, P. Orsi, mi ha insegnato a pregare l’Angelo di Dio, che poi ho capito.
Lo studio gravoso del problema trinitario da parte di Agostino ha dato vita alla leggenda, qui raffigurata, di un suo incontro con un angelo un in veste di fanciullo, Botticelli 1488. «Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: nell’interiorità dell’uomo abita la verità, e se troverai la tua natura mutabile, trascendi anche te stesso». Papà, invece, dava alla mia maestra, di I Elementare, dei regalini che poi, dopo il lavoro in classe fatto bene, me li donava, facendomi credere che fosse un suo premio, ma, l’arteficio, era stato tutto ideato dal previdente genitore che mi aveva avuto a 33 anni dopo essere tornato reduce dalla guerra nella penisola balcanica. Forse allora ho capito che insegnare significa lasciare il segno (superficiale, profondo, ecc.) che ho cercato lasciare da insegnante quando conducevo gli studenti di scienze naturali in visita d’istruzione (come l’ITCS “P. F. Calvi” di Padova, studenti lavoratori, spesso di Domenica) all’Orto Botanico universitario, vicino alla basica antoniana, sui Colli Euganei e sul Delta Po (con alcuni colleghi, oppure con il fisico e collega, Andrea Candelori, dell’ITIS “F. Severi” di Padova, nel 2009, a “Sperimentando”). La comunicazione della scienza, con l’Ecologia Umana, mi ha interessato in modo speciale: penso che sia un notevole traguardo riuscire a comunicare concetti scientifici, intrisi di saperi umanistici, con parole più semplici per coinvolgere tutte le persone nell’affascinante mondo della scienza. “L’Arte e la Scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento…”, recita la nostra Costituzione. Albert Einstein diceva che la conoscenza scientifica non è difficile più delle altre conoscenze, ma lo è il modo difficile di comunicarla. Aveva ragione da vendere poichè non pochi vedono gli scienziati arroccati in torri d’avorio dei loro saperi specialistici e quando comunicano lo fanno solo tra iniziati a quel determinato sapere e non la gente comune o volgare, ma voce del popolo, voce di Dio, Vox populi, vox Dei. Dunque anche per la scienza, la rivoluzione digitale, ha apportato miglioramenti nell’informazione generale anche perché la scuola è divenuta, giustamente, di massa. In Romania ad esempio, a differenza dell’Italia, la scuola è divenuta di massa prima ed anche la comunicazione, più tecnica che scientifica, ha fatto notevoli progressi, forse a scapito di quella delle scienze umane oltre al fatto che il sistema scolastico è più piramidale come lo era decenni fa anche in Italia, prima della scuola media unificata. Quando ero in servizio in Romania e visitando l‘ex capitale estiva dei Daci (Sarmizegetusa Regia, dove re Decebalo governava con la casta dei sacerdoti) e il Museo Archeologico di Costanza, ex Tomis, sul Mar Nero ricordavo il poeta Ovidio, punito da Augusto con la relegatio perpetua a Tomis. Ovidio proveniva da Sulmona (CH), quasi mio conterraneo, che gli ha donato una statua posta davanti al poderoso Museo citato prima e disse “non si può capire la cultura di un popolo se non dal di dentro della stessa cultura”.
Le due foto riportano la statua d’Ovidio suddetta e il collega romeno di Storia, Vlaic Sorin, con il totem dacico sulla lancia. Egli curava molto anche il folclore a scuola. Eppure molte verità scientifiche sono interculturali di per sé e la Paleontologia non dovrebbe privarsene, autorizzando opportune “incursioni” di altri saperi costruttivi. La poesia e la letteratura ad esempio, che sono saperi più ricchi di sensibilità generale e dedicano alla spiritualità più tempo, viceversa, il sapere resta per pochi eletti ed è causa, ad esempio, del disinteresse evidenziato dall’assenza di studi sui fossili delle chiese e del pavimento della Basilica di Sant’Antonio di Padova. Le tre foto evidenziano me con A. nell’Università di Padova, Darwin deriso come parente delle scimmie e moderno ponte dedicatogli dalla colta città di Padova all’uscita autostradale di Padova Est.
L’Ambiente, inteso come insieme di natura e cultura, viene esaminato da molti saperi sia umanistici che naturalistici. L’ecologia Umana si presta come chiave di lettura ambientale (naturale, sociale, religioso, economico, ecc.) dunque anche per il sapere paleontologico che appartiene all’ambiente naturale. La mia visione ambientale è quella ecocentrica (ambiente al centro compreso l’Uomo) che già era, in parte, fatta propria dal grafico allegato che era esposto lungo le pareti del liceo tecnologico “Transilvania” di Deva, esattamente tra il piano terra delle aule delle scienze umane e il I piano con le aule delle scienze reali o scienze naturali, mentre al II piano vi erano le aule dei saperi tecnologici. Sull’uso appropriato dei termini territorio, paesaggio e ambiente non sempre si concorda, anche tra specialisti. La visione antropocentrica era dominante fino ad alcuni decenni fa poi dalla cultura anglosassone in gran parte è giunta nei media e su non pochi saggi la visione biocentrica gravida pure dell’ecocatastrofismo di moda, che vede nell’uomo l’inquinatore della natura per eccellenza e alimenta la paura verso il futuro prospettando catastrofi apocalittiche di cui la giovane svedese ne costituisce un emblema, fatto proprio da quasi tutti radical-chic europei e fuori.
Tale visione pone la vita al centro e non più l’uomo per cui se c’è un incendio di un palazzo, i pompieri accorsi potrebbero salvare prima i cani, i gatti e poi, se c’è ancora tempo pure l’uomo già bruciacchiato? Invece la visione ecocentrica vede l’Uomo più responsabile che può a volte anche danneggiare l’ambiente naturale, ma ha la capacità, tecnologica, di porvi rimedio. Come più volte ribadito, riscrivo che l’eruzione di un vulcano di medio-grandi dimensioni, come lo Yellowstone, emetterebbe tanta di quell’anidride carbonica nell’atmosfera da superare quanta ne ha emesso il sistema economico dalla rivoluzione industriale, XVII sec. ad oggi. Inoltre ribadisco pure che da quando si è scisso l’unico continente Pangea e unico mare Panthalassa in più continenti e mari, il pianeta Terra ha il massimo di biodiversità rispetto a prima anche per la varietà climatica, solo in Italia abbiamo 6 regioni climatiche: alpina, padana, appenninica, adriatica, ligure-tirrenica, insulare e calabrese. Certo non mancano i problemi irrisolti della diffusione della plastica nell’idrosfera, le polveri sottili nelle grandi città, ecc.. Ritenere ed informare sul ritiro dei ghiacciai non come fenomeni ciclici naturali, ma una catastrofe causata dall’uomo, sembra allarmistico. Nella storia naturale più del 60% delle specie si estinsero e l’uomo non c’era ancora. Nel 1883 l’eruzione del Krakatoa, causò una variazione ecocatastrofica della Terra. Nel Veneto fossili di A. sono ben presenti come nel Parco r. della Lessinia, Museo dei fossili di Camposilvano. Tale museo espone fossili rinvenuti nel territorio dell’Altopiano della Lessinia, oltre a reperti fossili recenti di altre regioni: numerose ammoniti (fossili di molluschi cefalopodi scomparsi alla fine del Cretaceo). Ammoniti in natura. A. è un animale marino della classe dei Cefalopodi (C.) raggruppati nel popolato (non meno di 80 mila specie). I C. sono gli animali più attivi e intelligenti e comprendono i calamari, le seppie e i polpi, questi ultimi da non confondere con i polipi che appartengono ai Celenterati molto meno evoluti dei Molluschi. Nei C. come nei A. il capo è circondato da una corona di braccia e tentacoli, mentre parte del piede costituisce un sifone a forma di tubo attraverso cui l’acqua può essere espulsa con forza, determinando un tipo di locomozione simile a un ”motore a reazione”.
La loro Sistematica è: Regno: Animalia; Phylum: Mollusca; Classe: Cefalopoda; Ordine: Ammonitide; Famiglia: Ammonoidea; Genere e Specie: vari evarie. Dunque gli animali marini A., sono vissuti dal tardo Siluriano (S.) fino alla fine del Cretacico (C). Il S. fu il periodo dell’era Paleozoica compreso tra l’Ordoviciano e il Devoniano, corrispondente a 440 milioni di anni fa. In origine il S. comprendeva tutto il Paleozoico inferiore, anteriore al Devoniano. Nel S. la fauna assume uno sviluppo imponente e, con la comparsa dei primi Pesci (Placodermi), si può dire che tutti i tipi di animali marini vi siano rappresentati. I gruppi sistematici che forniscono generi e specie meglio utilizzabili per la stratigrafia sono quelli dei Celenterati, rappresentati da forme sia coloniali sia isolate, fra cui abbondano Tetracoralli e Tabulati, delle Graptoliti, molte delle quali sono ottimi fossili guida, dei Brachiopodi, degli Echinodermi, dei Molluschi, notevoli per l’evoluzione dei C. Nautiloidei e per la comparsa degli Ammonoidi, e infine dei Crostacei, fra i quali le Trilobiti raggiungono il massimo sviluppo con nuove specie caratteristiche. Compaiono i primi animali terrestri e in questo periodo si trovano i primi resti vegetali terrestri. Nel S. in Europa esistevano diverse regioni paleogeografiche, separate da bracci di mare che costituivano estesi bacini sedimentari impostatisi all’interno dei cratoni più antichi. Questi bacini, tra cui quello che separava la Scozia e il Galles, che si prolungava verso N lungo la parte occidentale della Scandinavia e verso S lungo il Massiccio Scistoso Renano, la Turingia, la Sassonia e la Polonia, si deformarono, e verso la fine del S. l’intera regione subì un graduale sollevamento (orogenesi caledoniana) che diede origine a un’imponente catena a pieghe, successivamente spianata dall’erosione, di cui rimangono alcuni residui, come le Alpi Scandinave. Alla stessa orogenesi è da collegare la formazione dei Monti Appalachi, che si svilupparono tra l’antico Nord America, l’Europa e il Gondwana. Queste fasi orogeniche furono inoltre accompagnate da intenso metamorfismo e da intrusioni magmatiche. Il S. è ben rappresentato da sedimenti marini costieri (calcari, arenarie, marne) ricchi di Brachiopodi e Trilobiti, e da depositi più profondi, caratterizzati dalla presenza delle Graptoliti; questi si riscontrano in Scandinavia, Inghilterra, Penisola Iberica, Europa Centrale e in Italia, Alpi e prealpi, e nei Balcani. Formazioni siluriane sono molto sviluppate nell’America Settentrionale, in Argentina e in altri paesi dell’America Meridionale, in Asia (Cina, Siberia ecc.), in Africa, Sahara, Marocco e in Australia. Tutti i C. viventi conosciuti sono carnivori, in generale con stile di vita da predatori, pur con diversi tipi di specializzazioni, che vanno dalla predazione attiva di organismi nectonici o bentonici alla microfagia a spese dello zooplancton, alla necrofagia. Il metabolismo dei cefalopodi è essenzialmente proteico: sono infatti in grado di assimilare prevalentemente proteine, e utilizzano gli amminoacidi derivati dalla loro digestione per il mantenimento e la crescita della massa muscolare, potendo all’occorrenza, in mancanza di fonti di cibo, ricorrere alla degradazione del loro stesso tessuto muscolare per provvedere l’energia necessaria alla sussistenza. Diversamente dai vertebrati, l’energia immagazzinata come lipidi e glicogeno è poco importante (rispettivamente il 6% e lo 0,5% del peso corporeo). Si può ipotizzare allora che anche gli ammonoidi fossero carnivori, con vari adattamenti di tipo predatorio. Quanto alle loro prede, diversi ricercatori hanno tentato di appurarne la natura e la composizione faunistica mediante l’analisi del contenuto della camera d’abitazione, soprattutto mediante la dissezione di esemplari particolarmente ben conservati e lo studio al microscopio ottico di serie di sezioni sottili opportunamente orientate. Oggetto di questi studi sono stati finora gli ammonoidi del Mesozoico. In diversi casi è stato possibile riconoscere strutture interpretabili come parti dell’apparato digerente: principalmente una struttura a tubo posta dietro l’apparato mandibolare, interpretata come esofago, che porta ad un’altra struttura a “sacco”, interpretata come stomaco. Il contenuto dello “stomaco” è risultato essere composto di frammenti di parti dure di organismi marini, e fortemente differenziato per specie diverse. Il nome dato ai rappresentanti di questa classe sta a indicare di avere la bocca circondata da tentacoli (dal gr. Kephalè=testa e podes=piede). Tali tentacoli, portano sulla faccia interna potenti organi di adesione o ventose, che li rendono dei terribili mezzi di cattura e di difesa, come, analogamente, fanno i più antichi fossili di bivalvi Megalodon, da me scoperti sotto le Tre Cime di Lavaredo e pubblicati come citato in bibliografia.
A. si diversificavano in migliaia di specie nei mari e le conchiglie fossili servono ai Naturalisti per leggere ed interpretare la storia naturale e ai Matematici per analizzarne la perfetta struttura. Per una loro esatta classificazione bisogna andare a ricostruirne l’ambiente di vita mediante lo studio del tipo di rocce e della loro età. A. sono gli organismi più famosi tra i C., insieme ai Nautiloidi; esclusivamente di ambiente marino e con modalità di vita nectonica, sono caratterizzati da un guscio prettamente planispirale solitamente involuto (anche se talvolta mostrano i giri interni, dando la parvenza di uno sviluppo evoluto) con simmetria bilaterale. Per la morfologia il guscio dei C. in generale è diviso in un determinato numero di camere separate da pareti (setti) che si allargano lungo la spirale.
La prima camera è chiamata camera di abitazione e il resto del guscio è chiamato fragmocono. Per quanto riguarda la natazione, il ruolo fondamentale è svolto dall’iponomo, una membrana circolare che, pompando fuori l’acqua che entra nella camera d’abitazione, produce un getto che induce movimento. Entrando nel dettaglio della sottoclasse stessa, si è osservato che in tutti gli Ammonoidi, eccetto un gruppo, il sifuncolo, o sifone (tubicino organico che penetra attraverso un foro tutte le camere, mettendole in collegamento tra di loro) segue il margine esterno ventrale del guscio. Sebbene questo aspetto sia fondamentale per distinguere un Ammonoide da un Nautiloide, il carattere diagnostico per eccellenza è sicuramente la sutura (linea di contatto tra la parete del guscio interno e il setto che divide il fragmocono in camere), che spesso presenta dei lobi (concavità) e selle (convessità) che le forniscono una configurazione piuttosto articolata. In particolare, i primi esemplari del D. mostrano delle suture lineari, mettendo in evidenza il fatto che i setti non fossero curvati oppure lo fossero leggermente. Successivamente, gli ammonoidi sviluppano suture goniatitiche (8 selle e 8 lobi con un andamento curvo o a zig – zag), ceratitiche (selle lisce a forma di U con lobi leggermente crenulati) e ammonitiche (lobi e selle con molte crenulazioni). Dal momento che gli organismi A. sono estinti, non abbiamo esemplari fossili con parti molli conservate, la ricostruzione dei loro tessuti viventi è basata su analogie con i Cefalopodi attuali e soprattutto sui nautiloidi. I Molluschi A. avevano le caratteristiche distintive di tutti i C.: un capo differenziato con 2 occhi, una bocca e le relative strutture nutritive, un cervello sviluppato intorno all’esofago; avevano inoltre una massa viscerale con l’apparato digerente, l’apparato circolatorio, il sistema endocrino e le gonadi. Il piede ancestrale dei molluschi si trasforma in questo gruppo in parte nei tentacoli (per le A. in numero sconosciuto e ancora oggetto di dibattito tra i ricercatori) e in parte nell’iponomo, un organo cavo che, contraendosi sotto l’azione di fasce muscolari, permetteva la circolazione dell’acqua nella cavità palleale e nelle branchie, e fungeva inoltre da organo di propulsione a “idrogetto” dell’organismo espellendo violentemente l’acqua. L’apparato nutritivo è ancora poco conosciuto: vi era una radula nel retrobocca, con funzione masticatoria; inoltre era presente un apparato mandibolare probabilmente era in parte simile a quello dei nautiloidi (un “becco” corneo più o meno calcicificato), almeno per quanto riguarda la mascella superiore. La maggior parte delle ammoniti era dotata però anche di strutture peculiari del gruppo, a composizione cornea o calcarea, gli aptici, situati ventralmente alla camera di abitazione, che fungevano probabilmente da supporti per la mandibola inferiore e forse anche da opercoli per chiudere l’imboccatura della camera d’abitazione quando l’animale si ritraeva nella conchiglia. Si trattava certamente di organismi dioici, con dimorfismo sessuale più o meno spinto. Secondo la maggior parte degli studi sull’argomento, considerando l’abbondanza delle popolazioni fossili, la strategia riproduttiva degli ammonoidi era di tipo r, fondata cioè su una prolificità molto alta, con numero assai elevato di uova e individui neanici, simile per alcuni versi a quella degli attuali cefalopodi coleoidi. Similmente a questi ultimi, le A. avrebbero avuto uno stadio giovanile con stile di vita planctonico. Come risulta da dati sia paleontologici che sedimentologici, la maggior parte delle ammoniti viveva in acque marine a salinità normale in contesti di piattaforma continentale e di mare epicontinentale, in un intervallo batimetrico stimabile fino a 200 m di profondità. I fossili di A. sono invece rari nei depositi di piattaforma carbonatica e nei sedimenti marini litorali e sono generalmente assenti in facies transizionali, come i delta e le piane di marea, ambienti caratterizzati da ampie e rapide variazioni di salinità. Sicuramente vi erano anche forme pelagiche adattate alle acque superficiali oceaniche. La grande varietà di morfologie comparse nella storia evolutiva di questo gruppo indica adattamenti a stili di vita molto diversi, che sono tuttora oggetto di dibattito tra gli specialisti. Da un punto di vista generale, morfologie appiattite e carenate, con profilo acuto, corrispondevano ad abitudini di vita nectoniche, da nuotatori relativamente veloci, mentre le forme più tondeggianti o globose, come anche le forme con ornamentazione molto sviluppata (meno idrodinamiche), sembrano essere state meno mobili, anche se queste considerazioni non dovrebbero essere eccessivamente generalizzate. Spesso, inoltre, durante l’ontogenesi i caratteri della conchiglia cambiano notevolmente, indicando una variazione di habitat significativa dagli esemplari giovanili agli adulti. Le forme “svolte” o con avvolgimento irregolare, infine, sono considerate dalla maggior parte degli studiosi come sicuramente non nectoniche, per lo meno nell’adulto: il dibattito verte soprattutto sulla loro caratterizzazione bentonica o planctonica.
Gli A. sono spesso caratterizzati da evoluzione di forme molto simili che si possono ritrovare in tempi diversi, in gruppi e su materiale fossile, spesso la determinazione della specie e talora anche del genere non è facile. Quindi sovente è l’associazione faunistica nel suo insieme a permettere la determinazione corretta della forma e la stessa assegnazione alla biozona (e di conseguenza la datazione). Inoltre, per molte specie i caratteri tipici si vedono solo nella conchiglia adulta, pertanto sono necessari esemplari adulti e completi di camera di abitazione: per contro, molto spesso il paleontologo e lo stratigrafo hanno a che fare con materiale scarso e mal conservato, come il caso di A. nel pavimento della Chiesa dei Frari di Venezia, la cui documentazione fossile è raramente continua per un tempo geologico molto esteso, a causa della variazione laterale e verticale degli ambienti sedimentari: vi sono quindi lacune più o meno estese a scala locale che rendono spesso difficile la ricostruzione di un quadro stratigrafico completo e coerente. Negli ultimi decenni, per ovviare a questi problemi, da parte dei ricercatori si è cercato sempre più di “calibrare” le zonazioni biostratigrafiche ad ammonoidi con quelle sviluppate per altri taxa, esaminando in parallelo la documentazione fossile relativa a diversi taxa su sezioni geologiche particolarmente complete, e cercando di fissare in maniera il più possibile univoca la posizione relativa degli eventi biostratigrafici (comparse, estinzioni e associazioni faunistiche). Comunque ci si limita a parlarne in forma generica e di appartenenza al grande philum dei Molluschi. Sono animali primariamente marini, ma alcune specie hanno colonizzato le acque dolci come, ad esempio, i Bivalvi o Lamellibranchi ed i Monovalvi o Gasteropodi, ed alcune specie di questi ultimi si sono riadattati anche all’ambiente terrestre.
A. erano anche i fossili del pavimento della Basilica dei Frari di Venezia, ammirate e fatte ammirare a studenti canadesi nel 2015.Si evidenzia l’A. fossile nel pavimento della Basilica veneziana dei Frari. In non poche case padovane i pavimenti sono di marmo della varietà rosso ammonitivo. Dunque i fossili ammonti sono di casa nel Triveneto. Calcari rossi contenenti Ammoniti, “calcarie rosse ammonitiche”, furono descritti per la prima volta nelle Alpi Venete da C. A. Catullo nel 1827, riportato in bibliografia. La dizione Rosso Ammonitico Veronese, venne introdotta ufficialmente nel lessico stratigrafico solo nel 1956 da G. Dal Piaz, citato in bibliografia. Il Rosso Ammonitico Veronese affiora bene e con continuità nell’area corrispondente al dominio paleogeografico ad ovest dal Lago di Garda e ad est dalla valle del Piave. A sud gli affioramenti di Giurassico terminano sotto i depositi della pianura veneta. Il Rosso Ammonitico Veronese è stato oggetto di studi soprattutto paleontologici fin dal XIX secolo. Di fondamentale importanza per una moderna biostratigrafia sono i lavori di Sturani, che distinse due membri, uno inferiore di età Bajociano Superiore-Calloviano e uno superiore di età Oxfordiano Medio-Titoniano, ed evidenziò l’esistenza di lacune stratigrafiche. I Molluschi sono divisi in 8 classi, adatti a qualsiasi tipo di ambiente. L’etimologia del termine si deve al latino mollis (“molle”), in quanto essi non possiedono endoscheletro, ma un corpo muscoloso ed una particolare struttura rigida di supporto (esoscheletro) detta conchiglia. I nemici o predatori naturali delle A. del Mesozoico sono evidenti, come cerchi scuri, le incisioni circolari sul guscio lasciate dai denti conici, a seguito di morsi da parte di un rettile marino. Per contro, le ammoniti erano sicuramente oggetto di predazione da parte di diversi gruppi di animali marini. Nel Paleozoico Superiore i principali predatori di tutti i cefalopodi ectococleati (nautiloidi e ammonoidi) erano probabilmente i pesci, soprattutto i placodermi nel Devoniano e i pesci ossei (in particolare gli squali) dal Carbonifero in poi. Nel Mesozoico sono state riscontrate effettive tracce di predazione (impronte di dentatura) ascrivibili con buona confidenza a pesci e rettili marini. Tra i rettili, sono state documentate impronte di denti di mosasauri (Cretaceo Superiore), mentre in diversi casi sono state rinvenute masse di frammenti di conchiglie e mandibole di ammoniti all’interno della cassa toracica di plesiosauri (Triassico Superiore-Cretaceo), in posizione compatibile con lo stomaco. Un altro tipo di trauma molto più diffuso nelle conchiglie delle ammoniti mesozoiche è costituito da incisioni allungate e irregolari in corrispondenza della camera d’abitazione. Questi traumi sono spesso chiaramente subletali in quanto riparati successivamente dall’organismo con nuovo materiale conchigliare. Sono interpretati come tracce di predazione da parte di cefalopodi coleoidi o crostacei. In particolare, i coleoidi, molto più agili e veloci delle ammoniti, dotati sicuramente di pinne e di tentacoli con uncini cornei (documentati da ritrovamenti fossili eccezionalmente conservati sono probabilmente da considerarsi tra i predatori più efficienti delle ammoniti. La notevole espansione e diversificazione delle belemniti nel Mesozoico è effettivamente parallela a quella degli ammonoidi. Trattandosi di forme estinte, la ricostruzione delle modalità riproduttive degli ammonoidi è in gran parte speculativa. I riferimenti per questo tipo di studio sono gli analoghi costituiti dai cefalopodi attuali (Nautiloidea e Coleoidea) e le osservazioni possibili sulla frequenza e sulla composizione delle tanatocenosi di ammoniti fossili. Si trattava certamente di organismi dioci, con dimorfismo sessuale spesso marcato. L’ipotesi maggiormente riportata in letteratura è che i due sessi corrispondessero a morfotipi diversi di conchiglia: le femmine corrisponderebbero al morfotipo meno frequente, con conchiglia più grande e ornamentazione semplificata (macroconca) rispetto ai maschi. Questi ultimi avrebbero una conchiglia generalmente più piccola, (microconche), con ornamentazione più marcata, la cui imboccatura era sovente caratterizzata da strutture particolari sporgenti (rostro ventrale e apofisi laterali), con funzione ancora sconosciuta. Secondo questa ipotesi, i maschi sarebbero stati molto più numerosi delle femmine. Di fatto, non vi è alcuna evidenza nel materiale fossile su quali fossero i maschi e quali le femmine, e gli analoghi attuali (cefalopodi nautilo hanno stili di vita e caratteristiche generali troppo diversi rispetto agli ammonoidi per costituire riferimenti accettabili integralmente). A. sono comparse circa 400 milioni di anni fa, nel Devoniano, ed estintisi intorno alla fine del Cretacico. Gli ammonoidi sono tra i fossili invertebrati più noti al pubblico e tra le forme in assoluto più utilizzate in stratigrafia per la datazione delle rocce sedimentarie: le successioni stratigrafiche marine sono infatti per la maggior parte datate e correlate a scala regionale e globale utilizzando biozonazioni ad ammoniti.
La totale estinzione di questo gruppo dopo una storia evolutiva che ne testimonia lo straordinario successo lungo le ere Paleozoica e Mesozoica, insieme a numerosi altri gruppi, ha generato non poche ipotesi e vivaci dibattiti tra i ricercatori. In tutto il Cretaceo Superiore, gli ammonoidi erano un gruppo complessivamente in declino, per una serie di fattori ecologici probabilmente in parte di ordine climatico (connessi ad un raffreddamento generalizzato del clima) e in parte dovuti alla comparsa di nuovi gruppi faunistici (comparsa dei mosasauri, esclusivi del Cretaceo Superiore, nuova espansione delle belemniti) fortemente indiziati per essere predatori di ammoniti; sono registrati anche eventi di estinzione a breve termine relazionabili principalmente con regressioni del livello marino. Filogeneticamente i Molluschi A. si sono diramati, agli inizi del Devoniano, dai Bactritidi, C. fossili che occupano un posto incerto nella sistematica. Poiché gli organi molli del corpo di A. sono sconosciuti, anche la loro posizione sistematica è discussa: alcuni le ritengono Tetrabranchiati come i Nautiloidi, altri Dibranchiati come la Spirula e le Belemniti. Pure controversa è la loro classificazione in vari sottordini e numerossime famiglie. In genere si distinguono 8 sottordini sulla base dei cambiamenti subiti dalla linea di sutura, anche se vi sono eccezioni alla regola: Anarcestina del D., Clymeniina del D. superiore, Goniatitina del D. medio-Permiano, Prolecanitina del D. superiore-Trias, Ceratitina del Permiano medio-Trias, Phylloceratina del Trias-Cretaceo, Lytoceratina del Giura – Cretaceo, Ammonitina del Giura -Cretaceo. L’ordine Ammonoidea, si è estinto repentinamente, insieme ad altri gruppi animali, verso la fine del Mesozoico. La loro importanza si deve al loro utilizzo come fossili guida: la grande espansione areale e la breve diffusione temporale di alcune specie permettono infatti di stabilire correlazioni biostratigrafiche. I fossili presentano conchiglia calcarea di dimensioni variabili da meno di 1 cm a circa 2 m di diametro, generalmente avvolta a spirale in un piano a simmetria bilaterale, con spire involute o evolute. Il guscio può variare da discoidale a globoso ed è costituito di tre strati sovrapposti (periostraco, ostraco e ipostraco). Esistono anche conchiglie eteromorfe: diritte, con avvolgimenti turricolati, a chiocciola, oppure con aspetto singolare. Il guscio è diviso da setti in diverse camere (o logge), di cui l’ultima era abitata dall’animale, le altre, costituenti il fragmocono, erano riempite almeno in parte, di gas. La camera di abitazione può occupare da mezzo giro di conchiglia (gusci brevidomi), fino a poco più di due giri (gusci longidomi). La parte concamerata inizia dalla protoconca, di forma sferoidale, sulla quale, dietro il primo setto, si affacciava l’apice (caecum) del sifone, un sottile organo membranoso cilindrico, situato nel piano mediano della conchiglia, per lo più in posizione esterna, che attraversava tutte le camere e i setti in corrispondenza di ripiegamenti, i colletti sifonali. L’apertura del guscio o peristoma può essere completamente liscia oppure accompagnata da un rostro ventrale o da apofisi. Le ornamentazioni del guscio hanno molta importanza per lo studio della sistematica e dell’evoluzione delle a. poiché sono sempre visibili nel fossile: sia sulla conchiglia sia, in assenza del guscio, impresse sul modello interno. Nei rappresentanti più antichi, per es. Paleozoici, l’ornamentazione è costituita da semplici strie di accrescimento; assume rilevante importanza in A. del Giurassico e del Cretaceo. La linea di sutura o lobale, che si osserva alla superficie del modello interno, al di sotto del guscio, è quello che resta dell’inserzione dei setti del fragmocono sulla parete interna della conchiglia. Questa inserzione avveniva secondo linee curve frastagliate e complesse, con la funzione di irrobustire il sottile guscio.
La linea lobale ha subito nel corso dello sviluppo filogenetico una complicazione progressiva passando da forme semplici, simili a quelle dei Nautiloidi, a forme complicatissime. Tale complicazione progressiva si osserva anche durante lo sviluppo dei singoli individui. Essa presenta insenature (lobi) e protuberanze espanse verso la parte anteriore (selle), che possono essere frastagliate. Nei Goniatitina paleozoici, le suture (sutura goniatitica) sono semplici. In certe ammoniti paleozoiche, ma soprattutto in quelle del Trias, i lobi sono dentellati e le selle a contorno integro (sutura ceratitica). Nelle ammoniti del Giura e del Cretaceo (e in talune triassiche), i lobi e le selle hanno frastagliature (sutura ammonitica). Nella camera di abitazione si trovano talvolta strutture calcaree ornate, che constano di due parti distinte, isolabili e identiche. Esse vengono interpretate come opercoli o come parti dell’evoluto apparato masticatorio. Non ho avuto ancora il tempo di ricercare l’origine esatta dei marmi del pavimento del Santo, né altri relativi documenti costruttivi del XIII sec. che spero esistano. Annotazioni tra mito, storia naturale e sociale. Il nome di A. discende dal Dio egizio della vita e della riproduzione, le cui corna, simili a quelle di un ariete, sono simili alla forma della conchiglia di molte A.. Tali animali hanno il nome che deriverebbe dal popolo che abitava a Oriente del corso inferiore del Giordano e della parte settentrionale del Mar Morto. Il nome di questo popolo è nell’ebraico biblico “figli di Ammon” o in forma gentilizia “Ammonita”; il nome personale del suo progenitore è Ben-‛Ammī. Il nome sopravvive in quello di ‛Ammān, l’attuale capitale della Transgiordania. Secondo la Bibbia, infatti, tanto gli Ammoniti quanto i Moabiti, con i quali sono spesso uniti, traevano origine da Lot, ch’era nipote di Abramo capostipite degli Ebrei. Gli Ammoniti erano famigerati per la loro crudeltà (Amos, I, 13); la loro religione, imperniata sul culto del dio Melek (Milkom, Moloch) non era diversa da quella dei Moabiti e di altri popoli di stirpe semitica. Nel 2006 alcuni miei studenti romeni, della città di Deva, dove prestava servizio per il Ministero A. Esteri, restarono sorpresi per le molte chiese viste a Padova, 90 come quelle di Roma. Anche a due studenti canadesi, in visita in Italia, restò impresso il numero elevato di chiese di Venezia, 100, pur se hanno scritto un saggio: “Tante chiese, tanti peccatori”. Comunque il mondo cattolico vanta primati incommensurabili di tesori ecclesiali e le chiese di Venezia sono stracolme di tesori artistici ed anche alcuni naturalistici come i fossili che ho visto, in compagnia di due studenti canadesi, nel pavimento della chiesa dei Frari. Durante la Repubblica Marinara di Venezia alcuni reati erano puniti con l’esposizione del condannato in una gabbia appesa alla torre. I rintocchi delle campane di S. Maria Gloriosa de Frari indicavano la convocazione del Maggior Consiglio insieme a quelle di S. Marco, S. Francesco della Vigna e S. Geremia. I fossili di A. nel pavimento della chiesa del Santo a Padova e dei Frari a Venezia hanno visto passare generazioni di veneti e turisti extraregionali e stranieri (oltre 27 milioni all’anno si recano a Venezia, tranne l’attuale ridotta presenza per la Covid19), ne hanno ascoltato le preghiere, le suppliche e le curiosità storico-artistiche fino alle mie naturalistiche. L’Homo sapiens, del nostro tempo, osserva con ammirazione i suoi parenti lontani del medesimo regno animale, anche se fossili incastonati nelle pietre levigate delle chiese, con la consapevolezza della “responsabilità di specie” e con il “principio di precauzione scientifica”. La memoria di ognuno di noi si annida nei neuroni della corteccia encefalica o neoencefalo, se sono ricordi recenti, e nella materia grigia encefalica profonda o paleoncefalo se sono remoti. E’ dai ricordi remoti che forse si alimentano i miti, le paure ancestrali, i sogni al limite tra realtà e fantasia plurima e irrazionale, ecc.. Ricordando la legge empirica del Naturalista tedesco, E. Haekel, che l’ontogenesi ricapitola la filogenesi (legge sostituita poi con la biologia evolutiva dello sviluppo) forse i ricordi della indefinita memoria ancestrale, potrebbero condurci verso tempi remotissimi della storia naturale ed anche di quella sociale agli albori, prima del neolitico quando eravamo tutti nomadi e raccoglitori-cacciatori e migravamo con le stagioni come continuano a fare molti altri animali, in primis gli uccelli tra cui le rondini, che ci ricordano l’arrivo della primavera insieme al fiorire dei peschi, ciliegi e maggiociondoli e anche la fine dell’estate con il cadere delle foglie dagli alberi non conifere ed anche la poesia ”Soldati” di G. Ungaretti: ”Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” ed anche meno stagionale l’ermetica poesia di S. Quasimodo ”Ognuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”. Come il bambino che fino a circa 4 anni non riesce ancora a confrontarsi col mondo esterno al suo io, da adulto sperimenta che come ogni uomo vivrà da solo. Quasimodo sa esaltare la solitudine dell’esistenza, soprattutto se non si riesce a dare o trovare un senso alla vita, che il sacro contribuisce a illuminare e poi incanalato nel fenomeno religioso, ben descritto dall’esperto di religioni, prof. E. Pace, ciascuno riesce a trovarlo nel Cristianesimo, dell’Islam-per restare nel monoteismo- oppure nell’ Induismo, Buddismo, Confucianesimo, Scintoismo, ecc.. Certo è che laddove riesce il poeta, anche se sono pochi i bravi, nessun altro esperto di unico sapere è capace di suonare così bene le corde del violino della memoria, forse paleoncefalica o ancestrale profonda. Tale memoria potrebbe alimentare anche il negativo che è sedimentato come testimonia lo scheletro del XVII sec. al cimitero veneziano “Lazzaretto Nuovo” di una donna con mattone in bocca evidenziato dall’articolo de “Il Gazzettino” del 7/03/2009, brusa la vecia in Prato della Valle e, a New York, con il dipinto di Dracula al femminile di E. Munch, dal mio saggio “Vampiri e Romania”.
Quasimodo dice che ogni uomo vive solo, credendo di essere al centro del mondo, ed è colpito da un raggio di sole, luce che dà gioia, ma anche dolore. Poi all’improvviso giunge la sera (la morte). Il testo è denso di significato, sebbene sia estremamente breve. Nessun testo più di questo riesce probabilmente a rappresentare in maniera così piena la fase ermetica di Salvatore Quasimodo. La lirica fa riferimento a un soggetto collettivo, quell’”ognuno” che rende la dolorosa esperienza del poeta l’esperienza che viviamo tutti noi. Ogni parola ha un significato denso e difficile da rendere in una parafrasi, per cui sarà bene analizzare i punti più importanti di questi versi: Ognuno: Quasimodo con questa parola si riferisce all’intera umanità, non in grado di comunicare in modo esaustivo e per questo destinata alla solitudine, un elemento che viene mostrato in modo chiaro da quel “solo” che segue nel verso. Solo: l’autore sottolinea la condizione a cui è costretto l’uomo, non in grado di esternare in modo efficace i suoi sentimenti, pensieri e sensazioni; sul cuore della terra: una metafora che spiega in maniera incisiva come quel “ognuno” sia convinto di essere il centro nevralgico dell’universo e delle cose terrestri; trafitto da un raggio di sole: in questo secondo verso si ha tutto il senso della vita, che viene paragonata ad un raggio di sole, che illumina e porta gioia, ma che trafigge anche l’uomo, ferendolo, nel momento in cui porta dolori e dispiaceri. Il raggio di sole è metafora di vita e felicità, che però si trasforma in un’arma, essendo accostato al verbo trafiggere, diventa così una spada che ferisce ciascuna persona e la tiene attaccata alle cose terrene, che generano così sofferenza e dolore. ed è subito sera: la sera simboleggia la morte, che arriva in maniera fulminea, senza che ci si renda conto che la propria esistenza volge al termine. Con questo verso Quasimodo mostra il senso della vita, la sua caducità e soprattutto il suo essere precaria. Quasimodo in soli 3 versi riesce a racchiudere tutto il significato dell’esistenza e a rendere, in modo poetico, tutte le riflessioni che vengono fatte sulla condizione dell’esistenza umana. Il linguaggio della poesia si caratterizza per la ricerca di termini semplici collocati in maniera sapiente. L’andamento dei versi è discendente con un doppio settenario seguito da un novenario e da un altro settenario. La dialettica della poesia si divide tra radicamento e sradicamento. Le immagini fornite dalle poche parole sono rapide, scarne e veicolano una visione del mondo tormentata e problematica, che esprime in maniera forte quanto la vita sia fugace e tormentata dallo smarrimento. L’uomo è solo, tutti gli uomini lo sono. E il sole, che lo colpisce, dando per un attimo l’illusione di una gioia, in realtà lo ferisce tramontando all’improvviso e facendo calare la sera. “Ed è subito sera” vede svilupparsi alcuni dei temi più cari alla corrente letteraria dell’ermetismo. Lo scopo di Quasimodo, al di là di quello che può apparire in un primo momento, è quello di contribuire alla ricomposizione dell’uomo contemporaneo, che all’epoca era molto scosso dai tumulti della Seconda guerra mondiale. Salvatore Quasimodo, così come tutti i poeti dell’ermetismo più in generale, mira proprio al rifacimento dell’uomo. Con la loro poesia vogliono immergersi nella vita e contribuire alla vita; in questa poesia Quasimodo si basa sulle proprie esperienze interiori, le porta fuori da sé per rappresentarle in pochi, efficacissimi versi. allo scrivente un autore straniero gli fece un omaggio del suo saggio: ”Sono per cui dubito?”. Abituato a ribadire il “sono per cui penso” di Cartesio, mi suonò strano il dubbio, ma in fondo, avevano ragione entrambi perché pensando si può e si deve anche dubitare, nel pensare scientifico spesso il dubbio aiuta a superare i vicoli ciechi delle false certezze e contribuire meglio ad aiutare l’Uomo. Ecco che tra ricerca del sacro della fede in qualsivoglia religiosità e conoscenza non c’è conflitto se non si vuole per forza cercarlo, e ciò avviene più facilmente se dominano gli stereotipi, i luoghi comuni, le tradizioni non sempre positive, ecc. La lanterna della scienza, illumina sempre più non solo la notte dell’ignoranza, ma anche dovrebbe dare sia pure una “lumina lina” o luce sottile. Questa serve ad illuminare il sacro che è in ogni Uomo, che non è più solo verso l’ignoto della morte se ha la fede nelle verità illuminate da altri prima e contemporaneamente a noi del nostro tempo nell’universo finito, illimitato e curvilineo, dove non siamo soli come specie biologica ci viene in aiuto l’evoluzione culturale e la transdisciplinarità dei molti saperi. Anche nella Paleontologia la Lumina lina dovrebbe poter entrare, ma non per disturbare dettagli e consolidati protocolli di procedere, quelli della divulgazione non sempre sono facili ai più, avverando ciò che diceva A. Einstein: “la scienza non è difficile, ma lo è il modo di spiegarla”. Nella sezione di un’ammonite fossile è visibile la struttura interna della conchiglia, con la parte concamerata (fragmocono). Le camere del fragmocono sono in parte riempite di cristalli di calcite. Non è forse questa la sede, per classificare bene quelle del pavimento di rocce sedimentarie della Basilica di Sant’Antonio di Padova, anche perché mancano dati certi sulla provenienza di quelle rocce né si conosce il tempo del primo calpestio che le ha ulteriormente lucidate, a partire dalla fine del XIII sec. Ora, invece, è il tempo di fare alcune riflessioni intorno alle creature viventi e al loro principio universale. La vita ci si presenta con una grande varietà di forme e di funzioni, che alle forme sono indissolubilmente legate. Circa due milioni di specie biologiche sono attualmente conosciute, e per nessun gruppo sistematico di notevole ampiezza l’elenco è completo. Inoltre, la paleontologia, scienza a metà tra la Geologia e Biologia, sembra dimostrare, con l’aiuto dei saperi dell’Anatomia comparata, della Biologia, della Geologia, ecc. che innumerevoli forme diverse dalle attuali esistettero nel passato di qualche altro pianeta senza ancora tralasciare del tutto del pianeta Marte, dove stiamo indagando con una moderna tecnologia. La specie zoologica alla quale l’uomo appartiene fu studiata, dal Naturalista e creazionista svedese C. Linneo del 1700, padre della classificazione binomiale che porta il suo nome. Egli, per la prima volta e con razionalità scientifica necessaria (siamo nel secolo dei lumi o della ragione), collocò l’uomo nella specie Homo sapiens. Tale specie la pose al vertice di una scala evolutiva, che però considerava ancora fissa e dunque creativa anche se varie ipotesi evolutiva vi erano state già nella Storia sociale dei Greci e dei Romani. La pubblicazione, nel 1859, de “L’origine delle specie”, sintesi e risultato delle sue imponenti ricerche sulla flora e la fauna di differenti latitudini, procurò a C. Darwin la gloria e il biasimo a un tempo. Con quest’opera straordinaria, Darwin scardinava la tradizione filosofica e teologica-biblica della creazione del mondo, introducendo il concetto di una lenta evoluzione delle specie animali e vegetali che nel corso del tempo si sono profondamente diversificate dai loro antenati. Darwin, 22 anni dopo del suo libro sull’evoluzione della specie, fu quasi costretto a scriverne un altro per rispondere alle critiche feroci che non pochi gli facevano. Una era che discendiamo dalle scimmie.
Darwin in “L’origine dell’uomo” del 1871, precisò che sia l’uomo che le scimmie antropomorfe hanno un progenitore comune, dunque non discendiamo dalle scimmie né loro discendono da noi. Oggi i neodarwinisti vedono nei batteri primordiali di 3,6 miliardi di anni fa, i nostri progenitori e la proteina dell’occhio umano è la stessa di un alga ad esempio. Attualmente sono tanti i libri su Darwin, ma tra i saggi consigliati si seleziona quello con l’introduzione di Pietro Omodeo (Naturalista e prof. dell’Università di Padova) “L’origine delle specie per selezione naturale o la preservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita”. Darwin acquisisce nuova luce nel saggio in Ediz. integrale (Italiano) 2014 di C. Balducci, citato in bibliografia. Nel 1800 altri Naturalisti ed in particolare l’inglese C. Darwin, introdussero la teoria evoluzionistica nel pensiero dell’Homo sapiens. I neodarwinisti successivi hanno ipotizzato il processo dell’ominazione che attribuisce l’origine biologica dell’attuale Uomo a non meno di 36 mila anni fa (Homo sapiens sapiens) e a partire da Nonna Lucy, fossile di Australopitecus afarensis di 3,2 mln di anni fa rinvenuto nel 1974 in Etiopia. Linneo, Lamarck, Darwin, ecc. hanno posto molta attenzione all’evoluzione biologica della nostra specie, ma hanno trascurato troppo quella culturale. Questa seconda sovrasta e si impone sulla prima dalle rivoluzioni neolitiche (l’uomo diviene stanziale ed allevatore ed agricoltore), industriale (la macchina sostituisce molti lavori pesanti dell’uomo e lo rende anche più libero economicamente e di pensiero), francese (segna la fine del dominio del monarca assoluto che dispone della vita e della morte dei suoi sudditi) e globale-digitale, tutt’ora in atto. Nel passato, ma ancora oggi in molta cultura, soprattutto umanistica, si dà troppo peso all’amore per i luoghi nativi di ognuno. Forse si sottovaluta che la specie Homo sapiens ha un areale universale anche se vive spesso in un habitat più o meno ristretto. Oggi, sappiamo che le differenze biologiche tra individui stanno nella sequenza delle basi azotate della biomolecola dell’acido deossiribonucleico o più noto acronimo DNA. Dopo 67 anni dalla scoperta della doppia elica del DNA, 50ennio celebrato a Padova con una mostra all’Università, sappiamo meglio che il ”segreto della vita” (espressione usata a Cambridge da Francis Crick il 28 febbraio 1953) ci aiuta a carpire e a capire un altro segreto naturalistico, ma resta immutato il principio che la conoscenza della natura non può prescindere dalla natura della conoscenza, che è sempre un prodotto storico del tempo in cui l’osservatore fa le sue scoperte. La vita è “una forza vitale nascente simboleggiata dai pulcini e dalla chioccia”, scriveva Leonardo da Vinci intorno al 1510. Oggi si può dire che la vita, è legata, tutta e sempre, alla struttura cellulare, che dipende dal DNA. Fanno eccezione i virus che non sono cellule, ma vivono a spese delle cellule. Dall’Uomo alle creature più semplice per forma e funzioni (nel 1859, con la teoria cellulare affermata) ciò che unificava i viventi era la cellula, oggi è il DNA: una sorta di moderna pietra filosofale del nostro tempo? La mia tesi in Vulcanologia e la tesina in Zoologia mi rammendano il fenomeno naturale immediato e l’evoluzione degli Ofidi, che non si allontanano di molto dal luogo di nascita. Gli uomini, invece, nel villaggio globale, sono sempre più apolidi e con un habitat spesso virtuale, digitalizzato da smart working. Interessante la mostra recente che ho ammirato nella Basilica di Sant’Antonio sulle scarpe e il cammino umano, comprese le scarpe della Transumanza e le cioce, curate da colti storici del medioevo dell’Università locale, senza ricorso al brillante storico medioevalista dell’università del Piemonte orientale, A. Barbero.
Le creature viventi, compreso l’Uomo, vanno studiate con più attenzione senza enfasi positivista, né opposizione preconcetta del tradizionalista ad oltranza. Il nuovo che avanza deve essere certo e servire a migliorare non solo il mondo delle cose, ma anche quello dello spirito, che potrebbe essere una variante del prodotto delle cellule del pensiero o di Betz, che pure esistono nella corteccia del telencefalo o della neocortex come scriveva S. Acquaviva, Sociologo e prof. dell’Università di Padova e al Corso Internazionale di Ecologia Umana, che ho frequentato. Nella “Dichiarazione dei diritti” di Filadelfia del 1774 si affermava: ”Tutti gli uomini sono stati creati; il Creatore li ha investiti di diritti insopprimibili, come la vita, la libertà e la ricerca della felicità”. La rivoluzione francese portò la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” nel 1789”, che così recita all’ art. 1 “Gli uomini nascono liberi ed uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”. La Dichiarazione dell’Unesco del 1964 sulle razze recita ”Tutti gli esseri umani viventi appartengono a un’unica specie… e discendono da un unico ceppo. I diversi popoli della Terra sembrano possedere uguali potenziali biologici per poter raggiungere qualsiasi livello di civiltà. Le differenze fra i risultati raggiunti dai diversi popoli sembrano dipendere interamente dalla diversa storia culturale… Non esiste alcuna prova che giustifichi l’uso di concetti come ”razze superiori” e “razze inferiori”. Monsignor Don Cleto Corrain, che presentò lo scrivente alla Società Italiana di Ecologia Umana, fu prof. di Antropologia e dir. dell’Istituto di Antropologia dell’Università di Padova nonchè presidente della Società Italiana di Antropologia ed Etnologia, per i suoi studi sui resti di diversi santi, la Chiesa lo incluse nei “prelati d’onore”. Egli misurò, il 13/6/1981, le ossa del venerato Antonio in occasione della visita del papa, Giovanni P. II, al Santo di Padova, nel 750esimo anno del ritrovamento della lingua incorrotta di Sant’Antonioche era solito dire “Fa Signore che la mia lingua scocchi come una freccia per proclamare le tue meraviglie”). Corrain, insegnava che non bisogna aver paura di usare la parola razza, basta solo non sconfinare nel significato. Corrain ha scritto più di 400 pubblicazioni scientifiche, ha eseguito numerose ricognizioni sui resti venerati in molte chiese del mondo, tra i quali quelli di Sant’Antonio da Padova, su altri 28 Santi orientali a Venezia, dalla Basilica di San Marco a numerose altre chiese della costa adriatica. L’aridità della scienza, figlia dell’illuminismo, sembra abolire il termine creatura vivente per non farla dipendere dal Creatore. Fino agli anni Sessanta in Italia ancora diffuso era il vezzo di utilizzare il termine creature viventi, poi esseri viventi e infine organismi. E’ una questione di forma soltanto, non pare. Il positivismo ha apportato indubbi vantaggi alle condizioni di esistenza dell’uomo, ma anche qualche presunzione connessa al principio della neutralità della Natura, ma, fino a prova contraria, è l’uomo a pensarla, descriverla e imitarla, in parte. Un noto saggista, prof. liceale di Latino, morto nel 2009 e cultore di T. Lucrezio Caro del I sec a. C., Pasquale Cervo, di Caiazzo, scriveva che la natura è palpitante del pensiero dell’uomo, cioè è l’uomo che le fa dire quello che sente e vuole. Non pochi divulgatori scientifici dell’alto delle torri d’avorio dei saperi specialistici, dimenticano che la natura non parla, ma sono loro a farla parlare. Dimenticano dunque e non lo hanno mai saputo, ecco perché la migliore conoscenza deriva dall’interdisciplinarità, che la Natura non è più la Maestra dei maestri, come scriveva Leonardo da Vinci nel 1500. Oggi, invece, è la Cultura dominante sulla Natura. A spiegarlo bene, tra gli altri, è il prof. universitario di Geografia Fisica, P. Federici, riportato in bib., ma ancora più incisivamente il premio Nobel, L. Montagnier, che precisa che se ci si rompe la gamba, non è la natura da sola che ci guarisce, ma è l’Ortopedia, l’organizzazione e la tecnologia sanitaria che ci aiutano a guarire. La Basilica di Sant’Antonio di Padova fu dichiarata Pontificia Basilica di S. Antonio è uno dei principali monumento cristiano- anche la cappella degli Scrovegni è principale ma più piccolo- di Padova e uno tra i maggiori capolavori d’arte del mondo. Riconosciuto dalla Santa Sede come Santuario internazionale, è anche uno dei più celebri e frequentati luoghi di culto. Il tempio fu iniziato nel 1232 a onore di s. Antonio di Padova e fu compiuto nella sua parte principale sul finire del 1200. Se nell’insieme il maestoso edificio palesa un forte influsso della Basilica di S. Marco in Venezia, nelle strutture massicce e imponenti è schiettamente romanico, mentre l’intera parte absidale slanciata e con le 9 cappelle a raggiera appartiene al più puro gotico. Queste diverse e contrastanti caratteristiche sono fuse in un insieme del tutto originale, che a prima vista distingue la Basilica da ogni altro tempio medievale. L’esterno si presenta quanto mai pittoresco, specie visto dall’abside; invece l’interno è caratterizzato da un’austera grandiosità e lo spazio espositivo è di oltre 1.000 mq.
L’altare maggiore e il presbiterio, sono delimitati da un’elegante balaustra (adorna di 4 statue bronzee di T. Aspetti, 1594).Questo ambiente solenne è dominato dai capolavori di Donatello (1448 e seguenti), che nel loro insieme costituiscono l’opera d’arte più celebre della Basilica. Come si presenta ora, la Cappella dell’Arca è opera splendida del Rinascimento, iniziata nel 1500 e portata a termine alla fine dello stesso secolo. Attraverso una innovativa ed emozionale modalità di fruizione si conosce meglio la vita del Santo, la nascita della Basilica e le opere dei frati che rendono attuale il messaggio di sant’Antonio. Riallestimento della precedente “Mostra multimediale antoniana”: una coinvolgente visita emozionale che rafforza l’esperienza di pellegrinaggio al Santo di Padova con visita anche, tra l’altro, dell’opera scultorea di Lorenzo Quin da me ammirata e in foto. Note conclusive. Padova è una città non grande né piccola, ma il suo ambiente naturale, sociale, culturale e religioso è ricco di aspetti da rivisitare anche con l’ausilio di più saperi. La processione al Santo del 13 giugno di ogni anno (tranne il 2020 per la pandemia) vede sfilare non solo indigeni, ma il mondo intero rappresentato con francesi, tedeschi, romeni, russi, ecc. Anche al santuario dell’Arcella dove morì il Santo si fa un’altra processione storicamente significante per le generazioni che da 8 secoli si susseguono. Nell’introduzione del saggio “La città del santo”, l’Autore, riportato in bibliografia e prof. di storia delle religioni all’Università di Padova, scrive ”Questo breve saggio non è un libro di storia, di storia di Padova, s’intende…Da tempo interessato al fenomeno religioso nei suoi vari aspetti (dalle forme di credenza alla pratica, dalla struttura organizzativa ai rapporti con le altre sfere della vita sociale, dall’economia alla politica), di tanto in tanto mi sono occupato anche di religiosità popolare, così come è stata tradizionalmente classificata, anche dagli storici, quel complesso sistema di credenze e pratiche religiose che tengono assieme frammenti di religioni sconfitte e simboli di quelle vittoriose.
Qualcuno chiama tutto ciò sincretismo, combinazione e ricomposizione di strati diversi di credenze di diversa datazione. In realtà è come osservare una falesia dove sono riconoscibili strati diversi di roccia sovrappostisi nel tempo, alcuni più visibili e marcati, alcuni erosi e dilavati dalle intemperie del tempo”. Lo studioso noto anche per aver costruito la nuova mappa delle religioni in Italia con l’arrivo dei non pochi immigrati, precisa che ha usato l’immagine della falesia, presa in “Raccontare Dio. La religione come comunicazione, Bologna, Il Mulino, 2008”. Un monito a riflettere sul tempo biologico e storico con l’evoluzione culturale dell’uomo, può anche essere stimolato dall’osservazione delle A. fossili nel contesto della Basilica di Padova dedicata al Dottore della Chiesa universale, che non ha paura delle scienze naturali, che Benedetto Croce, consigliava al Ministro della riforma scolastica, Francesco Gentile, di non inserirle poiché a furia di classificare gli animali avrebbero classificato anche l’Uomo come tale. Forse la disputa tra vitalismo e meccanicismo ci riporta ad Aristotele e agli Epicurei ed altri ancora. Ma l’Italia con la scuola neoplatonica della biblioteca dei Medici del XIV sec. è stata culla del Rinascimento in tutti campi, non solo artistici. Dal papa Giovanni P. II, la Chiesa ha aperto, senza paura alcuna, le porte alla scienza, ha chiesto scusa, dopo oltre 3 secoli, a G. Galileo (durante i 18 anni di Galilei a Padova, il vescovo locale era per l’eliocentrismo). Spesso anche non pochi cultori della scienza galileana difettano di essere sudditi e non cittadini dei loro saperi specialistici, tranne eccezioni come il fisico Federico Faggin e cultori di Ecologia Umana, da me appresa all’Università di Padova, dove l’Associazione, Alumni, ha invitato il vicentino, Faggin. Altri del suo saggio Silicio. La Consapevolezza, lo hanno presentato così: “Con le sue invenzioni, dal microprocessore al touchscreen, ha contribuito a plasmare il presente che tutti conosciamo. In questa autobiografia racconta l’impegno nello studio scientifico della consapevolezza”. Faggin, ed altri, ma ancora pochi, tentano di avvicinarsi al sacro con la lanterna della scienza senza trascurare gli apporti di più saperi. Penso che il sacro è presente in tutti i 7,5 mld di persone della specie Homo sapiens, immersa nel veloce flusso dell’evoluzione culturale e non solo della più lenta biologica. Bibliografia. 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