21 Set 2023
Cassazione e maltrattamenti in famiglia, nuovo orientamento: commette reato lui se lei non vuole fare sesso
Scatta il reato di maltrattamenti a carico dell’uomo se la compagna rifiuta di avere rapporti sessuali e lui si vendica con vessazioni e umiliazioni: derubricare la circostanza a mere «liti familiari», invece, finisce per legittimare il sistema punitivo attuato dall’uomo. E per determinare una «vittimizzazione secondaria» della donna, vietata dalla Convenzione di Istanbul, grazie alla quale la violenza domestica si configura anche senza una «sistematica sopraffazione». La Corte europea dei diritti dell’uomo ha già ammonito i giudici italiani a non utilizzare nelle motivazioni delle sentenze espressioni «moralistiche e colpevolizzanti» nei confronti delle donne, che possono «scoraggiare la fiducia della vittima nella giustizia». Così la Cassazione in nella sentenza 37978/23 pubblicata il 21 settembre 2023 dalla sesta sezione penale. Il ricorso della parte civile è accolto contro le conclusioni del sostituto pg. In primo grado l’uomo è condannato per le violenze che hanno costretto la donna a fuggire di casa con il figlio piccolo: il divieto di avvicinamento alla persona offesa cessa solo con l’assoluzione in secondo grado. La Corte d’appello di Napoli ritiene credibili le violenze fisiche e psicologiche raccontate dalla donna, ma esclude i maltrattamenti sul rilievo che emergerebbe non una condotta di sistematica sopraffazione dell’imputato, ma soltanto «un altalenante rapporto» di coppia, connotato dalla «morbosa gelosia» di lei. Il tutto perché la donna, mentre è incinta di quattro mesi, scopre che lui ha già un figlio di dodici anni da un’altra relazione e chiede spiegazioni, mentre l’uomo non tollera che gli si pongano domande. Così la compagna rifiuta di avere rapporti sessuali. Da lì botte, mobili sfasciati, perfino calci al passeggino quando la donna porta via da casa il bambino aiutata dalla madre. Duplice il vizio di motivazione dell’assoluzione: da una parte esclude la natura illecita delle condotte ignorando i messaggi WhatsApp che confermano la versione della persona offesa; dall’altra ritiene che aggressioni, insulti e danneggiamenti esprimano una mera abitualità «dei litigi nell’ambito della coppia». Ad avviso del Collegio di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Non si può confondere il reato di violenza domestica, che in Italia è ricondotto all’articolo 572 Cp, con le ordinarie liti di coppia. Altrimenti si finisce per «normalizzare» condotte anche illecite come minacce e violenze fisiche: è ciò che avviene nel nostro caso, in cui è derubricata a mero conflitto fra pari la limitazione della libertà inflitta alla donna che chiede chiarimenti al suo compagno, con «pubblica mortificazione» oltre che aggressioni a calci e pugni. La violenza avviene «sempre e solo su un piano inclinato» a favore dell’autore e gli esiti sono a vantaggio del responsabile. Qualificare come «gelosia» il legittimo interessamento all’altro figlio del compagno costituisce «una vera e propria distorsione logico-giuridica» che legittima la condotta dell’uomo e inverte i piani della responsabilità”. La causa continua in sede civile.