27 Set 2022
La Cassazione. Laurea falsa: chi dichiara un finto titolo di studio rischia una condanna per falso in atto pubblico
Respinto il ricorso del 50enne che aveva partecipato e vinto il concorso pubblico in virtù di un titolo di studio che non possedeva
Laurea falsa, è reato? Che cosa si rischia? Chi, per partecipare a un concorso pubblico, mente autocertificando di aver conseguito la laurea, risponde di falso in atto pubblico. Lo ha sancito la Corte di cassazione che ha reso definitiva la condanna a carico di un cinquantenne. Sul punto la quinta sezione penale ha spiegato che la Corte di appello, con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, ha ritenuto che la dichiarazione fosse tutt’altro che irrilevante o innocua, evidenziando che il compenso da attribuire all’uomo era stato determinato tenendo conto, tra l’altro, degli specifici requisiti professionali e dall’alta qualificazione professionale dello stesso, determinata, inevitabilmente, anche dal titolo di studio conseguito. La rilevanza del titolo era dimostrata anche dal fatto che lui si era dovuto confrontare con figure apicali di vari enti che miravano al medesimo incarico ed era evidente il rilievo che il possesso o meno della laurea aveva avuto nella valutazione comparativa dei canditati. La falsa dichiarazione, dunque, non solo aveva tratto in inganno l’ente pubblico su un requisito personale del candidato, ma aveva avuto anche rilevanza sia ai fini del conferimento dell’incarico, che della determinazione della retribuzione. Ma non basta. Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Appare del tutto infondato il riferimento al falso innocuo, che sussiste «quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, con la conseguenza che l’innocuità deve essere valutata non con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all’idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica». Il verdetto di condanna è stato dunque reso definitivo”.