14 Gen 2024
L’annoso problema delle barriere architettoniche della Stazione di Lecce
La testimonianza di un cittadino e l’appello a risolvere in qualsiasi modo e con ogni mezzo quest’esempio di (in)civiltà urbanistica che riguarda da sempre il principale “hub” di trasporto pubblico del Salento
Sono decenni – e la memoria si perde a non si sa fin quando – di discussioni e polemiche (tutte fondate) circa le difficoltà di accesso ai binari (dal 2 in poi) della stazione di Lecce che coinvolgono tutti, abili e non abili. La segnalazione che giunge anche a Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, da parte di un cittadino merita di essere rilanciata perché finalmente qualcuno nelle e delle istituzioni si tiri su le maniche e batta un colpo, anzi che faccia qualcosa urgentemente per risolvere l’annoso problema, esempio di (in)civiltà urbanistica che riguarda da sempre il principale “hub” di trasporto pubblico del Salento perché non c’è più tempo, neanche quello del “ribaltamento” dell’ingresso principale da anni promesso e ancora non realizzato:
“Sono e mi chiamo (ndr omettiamo le generalità per sua privacy)… di professione avvocato…. Tanto faccio nel bisogno della mia nobile professione, senza liti, senza mandati e senza processi, nella speranza di tutelare i più deboli, non da Giurista, ma neppure da leguleio, leggendo l’humus giuridico della Costituzione Italiana e delle Legislazioni avanzate dell’Europa Unita.
Il 20 dicembre u. s. avevo prenotato un posto sul treno che conduce a Milano, con partenza da Lecce alle 11:58. Giunto nei tempi utili in stazione, piazzale laterale all’ingresso principale (oggi chiuso !), percorrevo il tradizionale tragitto, ma arrivato alla gradinata adiacente il bar e trovato chiuso ogni ingresso, venivo avviato ad un labirinto di Cnosso, ma senza l’aiuto logico del filo di Arianna. Il tempo trascorreva, gli altoparlanti annunciavano la partenza del mio treno e io correvo senza soluzione e senza mete. Giunto alla gradinata centrale, pur senza insidie, inciampavo e cadevo sulle scale, procurandomi anche fratture. Arcinota la competenza della città a montare autovelox e semafori (intelligenti ?), residua carente l’umile ingegno ad evidenziare e facilitare un percorso per raggiungere i binari.
Sollevato da terra da due extracomunitari, tra una folla indifferente, venivo dagli stessi imbarcato sulla prima carrozza utile del treno. Accolto da un personale viaggiante splendido (Capo treno e due giovani allieve) mi veniva dedicata e praticata ogni cura, compreso il ghiaccio chimico del quale il convoglio era dotato. Lasciato con ampia disponibilità e con corale invito ad ogni soccorso, autorizzato dal Capo treno a rimanere in posto e carrozza non mio (incluso l’eventuale necessità del servizio 118, che mi veniva offerto) restavo solo con i miei dolori. Il mio dramma mi condusse ad oltre 30 anni or sono, quando su una delle gradinate, fui testimone e soccorritore di un claudicante anziano che cadendo si rompeva gli occhiali e si flaggellava il viso, ovviamente con bisogno di trasporto in ospedale.
R I F L E T T E V O A L L O R A, M A O S S E R V O O R A
Può accadere che una stazione ferroviaria posta al servizio di 750.000 abitanti, dell’intera provincia di Lecce, sia priva di ascensori e di accesso facilitato ai binari per e da sempre, come in stazioni di piccoli comuni, complete di ogni service; è potuto accadere che uomini di Governo, Parlamentari, Prefetti, Procuratori della Repubblica, Amministratori Regionali, Provinciali, Comunali, Cardinali, Vescovi, Religiosi, Generali, Garanti del Popolo, Servizi a tutela dei diversamente abili ecc… ecc… non abbiano mai rilevato, denunciato e rimosso questa grave lacuna del vivere civile che opprime i deboli della Città, fondata da Re Malennio (nel 1.250 a. C. con colori e simbolo uguali a quelli che avrà Roma, ma solo 500 anni dopo), dalla cui stirpe l’imperatore Marco Aurelio si gloriava di discendere. Capisco che ci sarà il solito “istruito” di turno che proverà a giustificare questo imbarbarimento destinato a chi ha avuto dalla vita svantaggi e non giovamento; capisco che per chi poteva, doveva e ha omesso ogni impegno deve essere un grave peso morale; gradirei, però, che non si usasse l’antico disgustoso metodo dei “mestieranti” della vuota retorica quanto blasfema, nella quale operano per praticare il cambiando degli addendi, ma soprattutto per lasciare immodificata la somma. Tanto, certamente, non per bisogno o giovamento di chi scrive, che è già caduto e che spero non residuerà disabilità per il triste avvenimento subito.”