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LE SPOSE DI SAN PAOLO- Immagini del tarantismo

Galatina, la cappella di San Paolo e lo spazio antistante, rappresentano il luogo pubblico di svolgimento del rito, la meta dove per decenni tarantate e, più recentemente, anche studiosi del fenomeno e semplici curiosi si sono dati appuntamento il 28 e 29 giugno – in occasione della ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo – per celebrare e osservare il rituale magico-religioso del tarantismo.

Il volume Le spose di San Paolo. Immagini del tarantismoa cura di Maurizio Agamennone e Luigi Chiriatti, edito da Kurumuny Edizionirestituisce gli scatti di fotografi professionisti e non, che nel corso di un cinquantennio hanno varcato la soglia del luogo del culto. Si parte dall’esperienza

pioneristica di Chiara Samugheo che fotografa per prima il pellegrinaggio delle tarantate a Galatina nel 1954, per passare poi alle immagini realizzate da Franco Pinna durante i mesi di giugno e luglio 1959, nel corso dell’indagine demartiniana sul tarantismo salentino. Ancora al diretto magistero di Ernesto de Martino sono riconducibili le foto scattate da Annabella Rossi nel 1959-1960. Dopo questo “blocco” di immagini, le altre sono distanti di circa un quindicennio e coprono un periodo di tempo che va dal 1974 al 1992, gli anni in cui il fenomeno si avvia al suo definitivo tramonto. Paolo Albanese e Paola Chiari, Fernando Ladiana, Paolo Longo, Carmelo Caroppo e Luigi Chiriatti ci presentano una serie di scatti realizzati nei giorni e luoghi della festa di San Paolo, a Galatina.

Il volume costituisce l’atto conclusivo del progetto “demartino60”, sostenuto dal Fondo speciale Cultura e patrimonio culturale 2019 della Regione Puglia (L.R. 40/2016 – Art. 15 c. 3). Il progetto, inaugurato nell’estate del 2019 con la realizzazione di una mostra fotografica itinerante, il racconto del celeberrimo libro La terra del rimorso con una performance degli studiosi Paolo Apolito e Stefano De Matteis e poi ancora proiezioni di documentari e installazioni di video-arte, dopo il fermo imposto dalla pandemia giunge a compimento con l’uscita del volume fotografico Le spose di San Paolo. Immagini del tarantismo.

La fotografia, dunque, come preziosa fonte di testimonianza e strumento di conoscenza, contro ogni spettacolarizzazione, richiamando lo stesso discorso demartiniano, che esplicita la propria riconoscenza al mezzo fotografico. Scrive infatti Ernesto de Martino nell’Introduzione a La terra del rimorso: «La prima idea di compiere un’indagine etnografica sul tarantismo pugliese, e di dare inizio, in questo modo, alla progettata serie di contributi per una storia religiosa del Sud, mi venne guardando alcune belle fotografie di André Martin, delle scene che, dal 20 al 30 giugno di ogni anno, si svolgono nella Cappella di S. Paolo di Galatina (…) Queste fotografie (…) a me furono di stimolo per ancorare la progettata storia religiosa del Sud a un episodio circoscritto da analizzare, a un fenomeno che richiamava esemplarmente l’impegno della coerenza storiografica proprio perché si presentava come un nodo di estreme contraddizioni».

Dall’introduzione di Maurizio Agamennone:

«E questo (la consapevolezza critica successiva ai primi decenni del Novecento, ndr) rimette pienamente in gioco il fotografo responsabile dello scatto, il produttore delle immagini, che non è mero operatore tecnico, mediatore neutrale tra realtà osservata e dispositivo di rilevazione, ma esprime pienamente la propria soggettività, nella ripresa, diventando così un “autore”: i suoi prodotti, perciò, possono risultare anche molto diversi rispetto a quelli messi in campo da altri operatori, di fronte al medesimo evento, rito, processo sociale; d’altra parte, è pure necessario rammentare che un evento, un rito e un processo sociale non restano mai uguali a se stessi, nelle iterazioni calendariali successive e nel passare del tempo: nel loro “farsi”, eventi, riti e processi sociali, pur restando riconoscibili e osservabili, si trasformano, anche sensibilmente, in seguito alla mobilità delle relazioni tra gli attori sociali coinvolti, al mutare delle condizioni ambientali, sociali ed economiche e, anche, in conseguenza delle possibili interferenze generate dalla eventuale presenza dello stesso fotografo, o altro operatore di ripresa.

Quindi, se è vero che Ernesto de Martino non è affatto responsabile della adozione sistematica della ripresa fotografica nelle scienze umane, è pure altrettanto vero che la sua opera di studioso e

organizzatore di processi di indagine e documentazione ha fortemente contribuito ad alimentare una filiazione lunga e importante di fotografi e cineasti che si sono messi “in scia” con le sue “campagne” di ricerca, affiancandolo direttamente sul terreno e anche continuando ad agire per proprio conto, orientati dal suo magistero: sicuramente, nell’influenza demartiniana sulla documentazione visuale un picco riconoscibile si raggiunge proprio nella campagna realizzata durante la “mitica estate” del 1959, concernente il tarantismo salentino».

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