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ONCONNECTION 2022. DISRUPTIVE INNOVATION IN ONCOLOGIA

Il sistema è pronto a ricevere l’innovazione nella cura dei tumori?

I numeri: 3milioni e 600mila malati di tumore. Gli esperti: prevedere nuovi setting assistenziali che vanno dai letti di cure intermedie a case di comunità, al domicilio assistito del paziente.

DISRUPTIVE INNOVATION IN ONCOLOGIA

Nella prima delle due giornate dell’evento ONCONNECTION 2022 Disruptive Innovation in Oncologia, organizzato da Motore Sanità, l’oncologia territoriale è stato il tema principale al centro del dibattito. La nuova oncologia ospedale/territorio è un cambiamento organizzativo ineludibile che nasce dal cambiamento epidemiologico (cronicizzazione delle patologie oncologiche, età), dal progresso della ricerca scientifica con le nuove tecnologie messe in campo.

 Le CAR-T costituiscono un bellissimo modello da tutti i punti di vista. Con l’oncoematologia da una parte e le innovazioni dall’altra, arriveremo a farmaci molto innovativi e potenti”, è il commento di Giuseppe Longo, Coordinatore GREFO. Ma c’è un ma: se noi partecipiamo allo sviluppo del farmaco, anche il farmaco deve costare di meno. Se si crea questa partnership, è chiaro che come sistemi sanitari abbiamo dato un contributo al valore terapeutico di quel farmaco, che ci deve essere riconosciuto. Questo è uno degli aspetti a cui dovremo sempre più pensare in futuro. Ci vuole una Disruptive Innovation per rompere questo sistema”.

Parla delle CAR-T anche Franca Fagioli, Direttore SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti AOU Città della Salute e della Scienza di Torino – Direttore Rete Oncologica Pediatrica Piemonte e Valle D’Aosta: “Le CAR-T, così come dice il Dottor Longo, possono essere un modello. Ma per permetterci un cambio reale, molto importante è anche il ruolo delle Associazioni dei pazienti, che sono parte integrante di tutti quelli che sono i nostri atti terapeutici: dalla gestione alla condivisione dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali”. 

Il cambiamento rappresenta una necessità anche per Gianni Amunni, Direttore Generale ISPRO Regione Toscana che, dati alla mano, rivela:“3milioni e 600mila casi prevalenti oncologici rappresentano una domanda rilevante, ma soprattutto caratterizzata da bisogni assistenziali molto diversi che vanno dall’alta intensità (Car-T) a esigenze più di tipo socio-sanitario. Occorre riorganizzare l’intera oncologia (ora solo ospedaliera) prevedendo nuovi setting assistenziali che vanno dai letti di cure intermedie a case di comunità, fino al domicilio (protetto e assistito) del paziente. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha focalizzato l’attenzione sul tema della medicina territoriale e sempre di più occorre riempire di contenuti e di funzioni i “nuovi luoghi di cura” che si stanno costruendo. L’oncologia è pronta a una nuova organizzazione che prevede nel territorio non solo psiconcologia, riabilitazione oncologica, supporto nutrizionale, cure sintomatiche e palliative, ma anche la delocalizzazione di alcuni trattamenti specifici per la cura dei tumori”.

In oncologia si sta assistendo ad innovazioni mai viste prima: dalla biologia molecolare ai farmaci innovativi, a cambiamenti organizzativi con ricadute di grande impatto favorevole per i malati”,chiosa Luigi Cavanna, Presidente CIPOMO – Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri. “Nel nostro Paese sono attive reti oncologiche in diverse Regioni, in altre Regioni le reti oncologiche sono in via di implementazione/realizzazione. È fondamentale organizzare la presa in carico del paziente oncologico, date le grandi criticità che la malattia cancro comporta, una presa in carico che sia omogenea e riproducibile su tutto il territorio nazionale e questo è possibile attraverso il modello di rete, solo cosi vi sarà equità di accesso alle cure, continuità assistenziale e ricerca clinica diffusa”.

Convinti dell’importanza delle reti oncologiche anche Pietro Giurdanella e Stefano Moscato, Componenti del Comitato Centrale FNOPI:

L’oncologia territoriale ha bisogno delle Reti oncologiche che svolgono un ruolo prioritario, anche per non determinare situazioni di mobilità regionale per ottenere cure di cui i pazienti dovrebbero usufruire con la massima prossimità. E nelle Reti l’introduzione dell’infermiere di famiglia e di comunità (IFeC) rappresenta un cambiamento epocale nella cura della malattia oncologica e nella restituzione di una vita quasi normale per milioni di persone che, purtroppo, hanno incontrato nella loro vita il cancro e che desiderano riappropriarsi di una migliore qualità della vita”.

Per Pietro Giurdanella e Stefano Moscato, l’infermiere di famiglia e di comunità in ambito oncologico è garante della risposta assistenziale, secondo un protocollo di intervento, dell’efficacia e dell’appropriatezza delle prestazioni, dell’efficienza dei percorsi assistenziali, dell’ottimizzazione delle risorse, dell’integrazione tra bisogni e realtà assistenziale e dell’umanizzazione dell’assistenza. “Il problema è la carenza di infermieri: per un’assistenza di qualità in tutto mancherebbero, secondo fonti istituzionali, tra i 20 e i 30.000 infermieri di famiglia e di comunità, almeno 6-9000 infermieri per l’ADI. La FNOPI ha messo a punto alcune proposte a breve, medio e lungo termine, con particolare attenzione a residenzialità e alle aree interne e disagiate. La Federazione è pronta a dare soluzioni, ora attende solo di essere ascoltata”.

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