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“SCAVI D’ATENEO” ONLINE LA MOSTRA SULLE CAMPAGNE DI SCAVO ARCHEOLOGICO IN ITALIA E ALL’ESTERO DELL’UNIVERSITÀ DEL SALENTO

L’Università del Salento presenta al pubblico i più recenti risultati delle campagne di scavo archeologico in Italia e all’estero, pubblicando in anteprima online i contenuti di una mostra che sarà allestita a Lecce nei prossimi mesi.

             «Il perdurare dell’emergenza sanitaria ha fatto slittare i tempi dell’allestimento di questa mostra, cui teniamo moltissimo», spiega il Rettore Fabio Pollice, «Attraverso significative immagini e descrizioni sintetiche, desideriamo divulgare i più recenti risultati degli scavi archeologici d’Ateneo in Italia e all’estero. Sono attività di cui siamo fieri: per il loro valore scientifico e per ciò che rappresentano per il territorio in cui sono effettuati in termini di conoscenza e coscienza storica, per gli instancabili impegno e passione profusi dai nostri ricercatori e dai numerosi studenti che vi vengono coinvolti, e non ultimo perché parte dei – pur esigui – fondi che li sostengono vengono dai cittadini attraverso il meccanismo del “5 per mille”. Siamo lieti quindi di anticipare online i contenuti della mostra, nell’attesa di poter organizzare un evento in presenza».

             I contenuti in italiano e in inglese sono online su https://unisalento.it/mostrascavi2021

Le campagne di scavo

Aquinum (Castrocielo, FR)

Concessione di ricerche e scavi archeologici DG-ABAP 14973 – MiBACT (anni 2019-2021)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttore di scavo: professor Giuseppe Ceraudo

L’area archeologica all’interno della quale si sta operando, di proprietà del Comune di Castrocielo (Frosinone), è localizzata in località San Pietro Vetere, a Nord del tracciato dell’Autostrada del Sole e subito a ridosso dell’antica via Latina; occupa una superficie pianeggiante di circa sei ettari, a cui va aggiunta la recentissima acquisizione di una nuova porzione di terreno al cui interno si ergono ancora, dopo venti secoli, i ruderi di due dei principali monumenti della città romana: il teatro e il cosiddetto tempio di Diana. Negli anni la progressione delle attività di scavo ha permesso di raggiungere un’estensione complessiva di circa 10mila mq di strutture antiche portate alla luce e di riconoscere numerosi ambienti caratterizzanti l’imponente edificio termale di carattere pubblico databile a partire dalla fine del I sec. a.C.

Risultati fondamentali per la conoscenza di un settore centrale dell’abitato sono stati quindi conseguiti grazie alle periodiche campagne di scavo. Le ultime ricerche hanno consentito di indagare una nuova zona nel cuore della città romana, in prossimità del cosiddetto tempio di Diana e delle grandi terme Vecciane (il balneum di Marcus Veccius), un nuovo settore in prossimità delle “rovine” ancora emergenti del teatro.

Il “Progetto Ager Aquinas” si distingue per un approccio integrato e multidisciplinare e, nel corso dell’ultimo decennio, ha coinvolto diversi Enti di ricerca e Dipartimenti universitari italiani e stranieri; inoltre, partecipano allo scavo ricercatori, dottorandi, specializzandi e laureandi; lo scavo pertanto si connota anche per la sua peculiare attività didattica che ne fa attualmente uno dei centri di formazione universitaria sul campo più frequentati in Italia.

Le attività di ricerca sono condotte dal Laboratorio di Topografia Antica e Fotogrammetria del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento a Lecce, in accordo con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti e con il sostegno del Comune di Castrocielo.

Cavallino (LE)

Concessione di ricerche e scavi archeologici DG-ABAP 9748 – MiBACT (anni 2017-2019)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttrice di scavo: professoressa Grazia Semeraro

A pochi km da Lecce, l’area archeologica di Cavallino conserva i resti di uno dei più grandi insediamenti messapici di età arcaica (VI sec. a.C.). Ancora visibile in ampi tratti ben riconoscibili nel paesaggio rurale è l’imponente circuito di fortificazione realizzato in pietre a secco, lungo più di tre km. Per la sua importanza, già prospettata a partire dal XIX secolo nell’opera del duca Sigismondo Castromediano, il sito è stato al centro del primo progetto di ricerca archeologica nel Salento avviato dall’allora Università di Lecce fin dai primi anni Sessanta del secolo scorso. La stretta sinergia con l’Amministrazione Comunale di Cavallino, consolidatasi negli anni successivi, ha portato alla fondazione nel 2003 del Museo Diffuso, oggi parte del Sistema Museale di Ateneo. Le campagne di scavo, svolte fino al 2014 sotto la direzione del professor Francesco D’Andria, hanno messo in luce molti aspetti importanti della città arcaica, a partire dall’organizzazione dell’abitato e del suo ruolo dominante nel sistema insediativo messapico. In anni recenti le ricerche hanno continuato a coinvolgere gli allievi dei corsi di Beni Culturali, all’interno del Cantiere scuola, sviluppando la conoscenza dei processi di trasformazione che portano alla nascita della città arcaica dal precedente villaggio a capanne dell’età del Ferro (VIII sec. a.C.). Abbandonato agli inizi del V sec. a.C. e mai più occupato, il sito offre infatti la rara opportunità di studiare all’interno di contesti molto ben conservati temi importanti come quelli relativi all’edilizia residenziale, ai sistemi produttivi ed rapporti con il mondo greco, ben attestati nella ricca documentazione archeologica.

Fabrateria Nova (S. Giovanni Incarico, località La Civita – FR)

Concessione di ricerche e scavi archeologici DG-ABAP 14975 – MiBAC (anno 2019)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttrice di scavo: professoressa Adriana Valchera

La città di Fabrateria Nova fu fondata da Roma nel 124 a.C. – dopo la distruzione della vicina colonia di Fregellae – su un terrazzo fluviale all’interno di un’ansa del fiume Liri. Dopo gli studi della seconda metà del Novecento, le ricerche sono riprese nel 2007 nell’ambito di un accordo tra l’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, Università del Salento, Università di Cassino, Deutsches Archäologisches Institut-Rom. L’analisi delle fotografie aeree, la realizzazione della cartografia numerica finalizzata e la ricognizione integrale dell’area della città, a cura del Laboratorio di Topografia antica e Fotogrammetria dell’Università del Salento, hanno permesso la ricostruzione dell’impianto urbano orientato circa 14° ovest, in maniera coerente con l’orografia del pianoro.

Dal 2015 al 2019 le indagini si sono concentrate nel settore centrale della città per verificare alcune tracce visibili nelle foto aeree verticali: sono stati individuati, in corrispondenza dell’incrocio tra strada basolata E-O e strada glareata N-S, due edifici – forse tabernae – posizionati ad ovest e ad est della strada glareata. Di entrambi gli edifici, con fondazioni in cementizio e spiccato in blocchi, è stata individuata la porzione sud. La ceramica rinvenuta è inquadrabile tra I sec. a.C. ed età imperiale; gli strati di abbandono attestano una frequentazione fino al V-VI secolo. Nel 2019 è stato messo completamente in luce l’incrocio stradale, notando che anche il tratto terminale della strada glareata è pavimentato in basoli. Sotto la strada basolata corre un collettore fognario.

Lecce, Castello di Carlo V

Concessione di ricerche e scavi archeologici prot. n. DG-ABAP 960 – MiBACT (anno 2019)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttore di scavo: professor Paul Arthur

L’evoluzione del Castello di Lecce è oggi meglio comprensibile grazie agli scavi archeologici realizzati fra il 2016 e il 2019 nella piazza d’armi. Il monumento fu iniziato in età normanna come testimoniano reperti numismatici e ceramici, nonché strutture che dimostrano che l’area originariamente non costituiva uno spazio aperto ma era occupata da edifici. Alcuni muri e piani pavimentali, posteriori al primo potenziamento svevo del Castrum Licii, attestano la prima fase angioina, mentre al XIV secolo rimanda la frequentazione di alcuni ambienti, coevi alle torri Magistra e Mozza delimitanti il primo nucleo dell’attuale castello. L’ultima fase della Contea di Lecce, in particolare sotto Maria D’Enghien, vide un fervore economico e culturale testimoniato anche da suppellettili recanti stemmi familiari. A questi anni risale un sistema idraulico visibile al centro dello scavo che, tramite un canale, collega un pozzo ad una vasca, identificabile forse con il mulino menzionato dalle fonti scritte. La vasca reca numerose incisioni parietali; navi, croci, volti e conteggi.

La fine del XV secolo segna il grande cambiamento del cortile che, in seguito alle demolizioni operate dai spagnoli, diventa uno spazio aperto in terra battuta. A questo periodo rimanda anche una fornace per campana. Nel XVI secolo, il castello, emblema della grandezza imperiale di Carlo V, venne trasformato, inglobando le strutture più antiche in un impianto difensivo più adatto a fronteggiare le armi da fuoco.

Melendugno, località Roca Vecchia (LE)

Concessione di ricerche e scavi archeologici DG-ABAP 15995 – MiBACT (anno 2019)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttore di scavo: professor Riccardo Guglielmino

Le attività della campagna 2019 si sono prefisse principalmente lo scopo di riprendere le ricerche archeologiche e antropologiche nella chiesa tardomedievale e nella necropoli messapica e di offrire agli studenti l’opportunità di maturare una fondamentale esperienza nel campo dell’antropologia fisica sotto la direzione di P.F. Fabbri. Le indagini hanno interessato tre settori distinti: la chiesa tardomedievale al centro della penisola (A), l’estremità settentrionale delle fortificazioni protostoriche (B) e un lembo della necropoli messapica posta a Sud della Grotta della Poesia (C). Nell’area della chiesa sono state esplorate due tombe a fossa rivestite e coperte da lastre litiche. La prima (T 90) era priva della copertura e i resti scheletrici umani al suo interno erano completamente sconvolti. La seconda (T 91) era invece intatta e conservava in posto le quattro lastre della copertura. Al suo interno sono stati rinvenuti i resti scheletrici in connessione anatomica di vari individui; presso il lato corto orientale, inoltre, un accumulo di ossa indicava la presenza di deposizioni secondarie o riduzioni.

A sud della Grotta della Poesia Piccola è stato completato lo scavo di una tomba (T 19) scavata nella roccia e coperta da lastroni databile alla metà ca. del V sec. a.C. La tomba offre una testimonianza rara nel mondo messapico, perché custodiva i resti di due individui inumati simultaneamente, un adulto e un bambino, verosimilmente consanguinei. Sulle mura di fortificazione protostoriche sono state condotte indagini finalizzate ad una ricostruzione più puntuale delle vicende costruttive del monumento.

Muro Leccese (LE)

Concessione di ricerche e scavi archeologici prot. n. DG-ABAP 19294-P – MiBACT (anno 2019)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttore di scavo: dottor Francesco Meo

Lo scavo condotto negli ultimi anni a Muro Leccese sta portando alla luce quello che è finora il più grande edificio residenziale locale di età arcaica (metà VI-metà V secolo a.C.), costituito da una serie di ambienti che si sviluppano attorno a un grande cortile, su una superficie di circa 1300 mq. L’abitazione è al margine di una strada larga cinque metri. L’ambiente principale è una sala da banchetto che aveva un piccolo altare in un angolo ed era esternamente decorata con lastre in terracotta con motivo a doppia treccia in rosso e nero. Nella sala è stato rinvenuto il set di vasi (crateri, coppe e bicchieri) e la grattugia in bronzo che servivano durante il rituale del banchetto. Alle spalle di questo vano è una cucina aperta sul cortile interno. In uno dei suoi muri è stato ritrovato un tesoretto di dieci monete in argento coniate a Metaponto, Caulonia, Crotone e Sibari, datate tra fine VI e metà V secolo a.C. Dopo l’incendio dell’abitazione, l’area ha continuato a essere occupata e, nel III secolo a.C., è stato costruito un muraglione a ortostati che corre parallelo alle mura, a circa 50 metri all’interno, e riutilizza blocchi ed elementi architettonici (stipiti, architravi) dell’abitazione stessa e di altre vicine. Sotto al crollo di questa struttura sono state trovate numerose amigdale (proiettili) in piombo, palle di catapulta e un dardo di balista che testimoniano una violenta battaglia, molto probabilmente legata alla distruzione della città messapica.

Nardò, località Li Schiavoni (LE)

Concessione di ricerche e scavi archeologici prot. n. DG-ABAP 13765 – MiBACT (anno 2019)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttrice di scavo: professoressa Giovanna Cera

Grazie ai proficui rapporti di collaborazione istituiti tra il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto e il Comune di Nardò, nel 2016 hanno preso avvio scavi archeologici nel sito di località Li Schiavoni (Nardò). Qui, a circa 4 km dalla costa ionica, si trova un piccolo insediamento fortificato, collocato su un pianoro soprelevato favorevole al controllo del territorio. Esteso su una superficie di circa 3 ettari, era dotato di un circuito murario di circa 650 m di lunghezza, difeso sul lato orientale da un fossato, ben visibile sulle immagini aeree. Le indagini archeologiche hanno messo in luce la struttura difensiva, larga 3,5 m, realizzata in blocchi calcarei irregolari di medie e grandi dimensioni. Costruita in epoca arcaica, essa fu in seguito consolidata e ampliata, sia pure in maniera sbrigativa, forse a causa di un imminente pericolo. Di particolare interesse il ritrovamento, a breve distanza dalle mura, di una sepoltura di una fanciulla, contenente alcuni oggetti di corredo, databili tra la fine del VI e la metà del V sec. a.C. Nell’area più interna dell’insediamento, gli scavi hanno evidenziato i resti di un’abitazione, dotata di uno spazio destinato a cucina e a dispensa, con tre focolari, numerosi contenitori per derrate e una cisterna per la raccolta idrica. Non lontano, evidenti resti di sepolture hanno restituito frammenti di vasellame di importazione, indizio dei contatti commerciali che interessarono questo insediamento grazie alla felice posizione, interna, ma non lontana dal litorale ionico.

Pietravairano, località Monte San Nicola (CE)

Concessione di ricerche e scavi archeologici DG-ABAP 26677 – MiBACT (anno 2017)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttore di scavo: professor Gianluca Tagliamonte

Tra il 2005 e il 2017 l’Università del Salento ha condotto campagne di scavo archeologico nell’area del Monte San Nicola (562 m), nei pressi di Pietravairano. Gli scavi hanno evidenziato la presenza di un monumentale complesso santuariale, costituito da un tempio e da un teatro posti in asse, a differenti quote altimetriche. Il santuario fu eretto attorno al 100 a.C., all’interno di un’area circondata in epoca preromana dalle mura poligonali di una fortificazione sannitica. Il tempio è collocato sulla sommità del rilievo, al centro di una terrazza artificiale (di circa 21.92 x 22.50 m) che ha regolarizzato il profilo dell’altura e che è delimitata da un possente muro in opus incertum di calcare locale. Si tratta di un tempio “tuscanico” (lungo 11.54 m e largo 13.62), a triplice cella, con quattro colonne laterizie in facciata. Il teatro è disposto una ventina di metri più in basso. La gradinata (cavea) è ricavata nel pendio naturale e delimitata da muri di contenimento (analemmata) in opus incertum; due ampi passaggi separano le parti alta, media e bassa della cavea, mentre tre scalette dividono le gradinate in quattro cunei. Sono stati scavati anche l’orchestra e l’edificio scenico. Dalla cavea provengono, tra l’altro, parecchi frammenti della decorazione architettonica del soprastante tempio e un paio di repliche di bolli su tegole, in latino, testimonianti l’attività produttiva della gens degli Aufidii. Tredici sepolture, vuote o con pochissimi oggetti di corredo, documentano l’abbandono e la defunzionalizzazione del complesso teatro-tempio (II sec. d.C.), così come le successive fasi di rioccupazione del sito in età medievale.

Poggiardo, località Vaste (LE)

Concessione di ricerche e scavi archeologici DG-ABAP 9581 – MiBACT (anni 2017-2019)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttore di scavo: professor Giovanni Mastronuzzi

Nel Fondo Giuliano, presso Vaste (Comune di Poggiardo), le indagini archeologiche dell’Università del Salento sono state avviate già nel 1991 sotto la direzione di Francesco D’Andria. Nel corso degli anni è stato possibile riportare alla luce un esteso complesso paleocristiano che include tre edifici di culto, tra loro sovrapposti, a cui è collegato un cimitero rupestre del quale sono state indagate oltre 100 tombe caratterizzate dalla presenza di corredi, con vasi e oggetti di ornamento. La prima chiesa risale al IV secolo e rappresenta uno dei più antichi edifici di culto cristiano in tutta l’Italia meridionale; l’occupazione si protrae fino al IX secolo. Nell’area sono state individuate anche una fornace, un fronte di cava per l’estrazione della pietra e numerosi manufatti, che sono riconducibili a epoca messapica (VI-III sec. a.C.). Negli ultimi anni alcune campagne di scavo hanno avuto l’obiettivo di indagare l’area circostante gli edifici ecclesiastici al fine di verificare la presenza di strutture ad essi collegati. Nel settore a sud-ovest della chiesa, a causa della morfologia del terreno, gli elementi archeologici si trovano al di sotto di un accumulo di natura alluvionale e colluviale dello spessore di ca. m 1,50 e ciò ha fortemente condizionato i tempi delle indagini. Un saggio esteso ca. 100 mq ha permesso di appurare che nel periodo compreso tra la seconda metà del VI ed il VII sec. a.C. (chiesa di II fase) si è sviluppata un’occupazione di tipo abitativo e/o di servizio. È stato identificato un grande vano contenente un focolare con banchina e buca di scarico, probabilmente funzionali alla preparazione ed alla cottura di cibi. A ovest dello stesso ambiente è stata riconosciuta una trincea con funzione di canale di scolo delle acque meteoriche.

Vernole, frazione Acquarica di Lecce, loc. Pozzo Seccato (LE)

Concessione di ricerche e scavi archeologici DG-ABAP 12099 – MiBACT (anni 2017-2019)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttrice di scavo: professoressa Katia Mannino

Ad Acquarica di Lecce (Vernole), in località Pozzo Seccato, è stata scoperta una masseria fortificata di pianta quadrangolare (m 72 x 65), la cui fase più antica di edificazione risale all’età messapica (fine del IV sec. a.C.). La masseria è circondata da un muro di fortificazione – che racchiude una superficie di circa mezzo ettaro – largo poco meno di 4 metri, realizzato in pietre a secco e foderato all’esterno da grandi blocchi di calcare squadrati. All’interno della cortina muraria è un edificio residenziale (A) con ambienti adibiti alla vita quotidiana (sala per il ricevimento, cucina, dispensa) e vani dedicati a produzioni artigianali. Nella parte centrale l’edificio presentava una torre a due piani (D) che permetteva di osservare il territorio circostante fino al mare, lontano meno di cinque chilometri. Un grande vano (B), lungo m 16 e largo circa otto, fungeva da granaio per la conservazione delle derrate agricole. A Sud del granaio è stata individuata una stalla (C). Alla prima età imperiale risalgono i resti di un piccolo ambiente quadrangolare di incerta funzione (E). La masseria, edificata fra l’età messapica e la prima età imperiale, è abbandonata durante la piena età imperiale. L’insediamento antico è immerso in un paesaggio rurale che conserva integri i suoi caratteri originali (muri a secco, pagghiare [costruzioni in pietra a secco], aie, uliveti, strittule [tratturi di campagna]), che formano il tessuto in cui la Comunità locale ha vissuto fino a pochi decenni fa. Su tutto domina la pietra che emerge dal terreno sotto forma di roccia affiorante e che il lavoro di generazioni di contadini ha regolarizzato fino a formare un disegno che pervade il territorio. Nel 2017-2018 le ricerche hanno interessato un edificio (G) individuato nei pressi della torre (D). L’edificio (G), rettangolare e con orientamento Est-Ovest, è riferibile alla fase messapica dell’insediamento (III sec. a.C.). Lo scavo delle strutture murarie e dei livelli di frequentazione – solo in minima parte conservati – non ha restituito elementi utili a precisare l’estensione e la funzione dell’edificio.

Santuario di Tas Silġ (Malta)

Missione Archeologica a Malta in collaborazione con la Soprintendenza al Patrimonio Culturale del Governo Maltese e con Heritage Malta. Missione accreditata presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

Direttrice Unità di ricerca del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento: professoressa Grazia Semeraro

Nell’area archeologica di Tas Silġ si estende un imponente complesso di edifici, unico nel Mediterraneo per la sua lunga durata di occupazione, dalla preistoria all’età bizantina, che riflette le vicende storiche dell’arcipelago maltese ed il suo ruolo nel Mediterraneo Centrale. Le ricerche della Missione Archeologica Italiana, condotte fra 1963 e 1970, sono riprese a partire dal 1996 consentendo di portare in luce le straordinarie evidenze del santuario di Tas-Silġ. L’Università del Salento vi partecipa dal 1998 in collaborazione con ‘Sapienza’ Università di Roma e Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano. Le ricerche più recenti hanno consentito di definire la scansione cronologica del sito a partire dal III millennio, quando fu costruito un grande complesso templare megalitico che doveva estendersi in buona parte dell’area. Una delle strutture preistoriche diventa il cuore del santuario, dedicato prima alla divinità fenicia Astarte (dall’VIII sec. a.C.) e poi ad Hera – Giunone (dal II-I sec. a.C.). A questa ultima fase appartiene una grande opera di ristrutturazione architettonica. Molto densi sono lungo tutto il periodo di vita del santuario i rapporti con le civiltà che si avvicendano nell’area mediterranea. L’Università del Salento è impegnata nell’analisi delle attività rituali che caratterizzano l’età storica, attraverso l’applicazione di metodologie interdisciplinari che spaziano dalle analisi archeometriche a quelle bioarcheologiche, alle elaborazioni grafiche e informatizzate volte a ricostruire l’immagine del santuario nel corso delle numerose trasformazioni che hanno segnato la millenaria storia.

Hierapolis di Frigia

Concessione di ricerche e scavi archeologici progetto n. BK022001(2019), T.C. Kültür ve Turizm Bakanlığı, Ministero della Cultura e del Turismo Turco. Missione accreditata presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttrice di scavo: professoressa Grazia Semeraro

Le rovine di Hierapolis (la città sacra) si conservano in un peculiare contesto naturalistico segnato dal geotermalismo che ha dato origine a uno straordinario paesaggio: bianche ‘cascate’ di travertino rivestono il terrazzo su cui sorgeva la città ellenistico romana, inserita dal 1988 nella lista World Heritage dell’UNESCO. La Missione Archeologica Italiana, fondata dal Politecnico di Torino sotto la guida del professor Paolo Verzone e diretta dal 2000 al 2015 dal professor Francesco D’Andria (Università del Salento), opera nel sito dal 1957. Le ricerche si caratterizzano per l’impianto multidisciplinare e per l’opera di restauro e valorizzazione dei numerosi monumenti appartenenti alle varie fasi di occupazione, dall’età ellenistica al Medioevo. Fra i principali complessi di età romana si annoverano la Porta di Frontino, il santuario di Apollo con il vicino Ploutonion e il teatro, decorato da una splendida frontescena in marmo. Alla fase bizantina risale un nuovo polo monumentale incentrato sul culto dell’Apostolo Filippo, venerato nella chiesa costruita intorno alla sua tomba, recentemente scoperta. Nuove ricerche si sono concentrate sull’archeosismologia, mettendo in luce le soluzioni strutturali utilizzate nell’antichità per fronteggiare il pericolo dei terremoti. Tra i risultati più importanti vi è poi la scoperta, nel 2017, dell’insediamento di età frigia (VIII-VII sec. a.C.) che consente ora di scrivere un nuovo capitolo nella storia dell’insediamento. La Missione è costituita da sette Atenei Italiani: Università del Salento (direzione), Firenze, Padova, Pisa, Roma – Sapienza, Messina, Politecnico di Torino, e dal CNR. Opera in collaborazione con l’Università di Pamukkale, il Museo e gli Enti locali della provincia di Denizli. Tofaş (Türk Otomobil Fabrikası) e Vehbi Koç Vakfı, sponsorizzano le operazioni di restauro.

Mersin-Yumuktepe (Turchia)

Concessione di ricerche e scavi archeologici progetto N. BK023302 (2019) T.C. Kültür ve Turizm Bakanlığı – Ministero della Cultura e del Turismo Turco. Missione accreditata presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttrice di scavo: professoressa Isabella Caneva

Il sito rappresenta una cerniera culturale, economica e politica tra Est e Ovest, attiva nel Mediterraneo in un arco temporale plurimillenario, tra 7000 a.C. e 1300 AD. In considerazione dell’eccezionalità di questa stratificazione, già messa in luce da scavi britannici negli anni 1936-1947, le indagini sono riprese con metodologie moderne a partire dal 1993. I nuovi scavi hanno messo in luce rilevanti aspetti evolutivi nella tecnologia, nei sistemi economici e nell’organizzazione della società, realizzati nel sito alle soglie della trasmissione del Neolitico all’Europa e nelle fasi successive. Nella sequenza preistorica, la struttura dei villaggi mostra un precocissimo avvio del processo di stratificazione della società, accompagnato dai primi esperimenti di fusione del rame già dal 5000 a.C. Questo primato tecnologico favorì l’avvio di scambi commerciali del sito con tutto il Mediterraneo, ma anche l’aprirsi di devastanti conflitti che finirono per trasformarlo in una cittadella fortificata. Yumuktepe fu rilevante centro dell’impero ittita nel II millennio a.C., e fiorente centro commerciale in contatto col mondo greco e miceneo nel I millennio a.C. Piccolo villaggio in età romana, tornò ad essere una importante cittadella, con una chiesa e un ampio abitato rurale, in età bizantina. Nel XIV sec. la collina, troppo piccola per le nuove esigenze urbane, si trasformò in area funeraria, mentre l’abitato si allargava ai suoi piedi, dando origine alla città di Mersin.

Dime es-Seba/Soknopaiou Nesos, El-Fayyum (Egitto)

Concessione di ricerche e scavi archeologici – Ministero Egiziano del Turismo e delle Antichità. Missione accreditata presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Concessionario: Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento

Direttori di scavo: professor Mario Capasso, professoressa Paola Davoli

Il “Soknopaiou Nesos Project” lavora dal 2004 nell’antico insediamento noto in greco come Soknopaiou Nesos e in egiziano come Ta-mayt-en-Sobek-neb-Pay (“L’Isola del dio Sobek signore dell’isola”), situato nel Fayyum, a nord del lago Qarun. Le rovine (660 x 350 m) formano una collina stratificata alta una decina di metri, formatasi con il sovrapporsi di livelli abitativi dal III s. a.C. (epoca tolemaica) fino alla metà del III s. d.C. (epoca romana). La sabbia del deserto che circonda il sito ha ricoperto le strutture e quanto contenevano preservandole piuttosto bene. Il clima arido ha contribuito alla conservazione di migliaia di papiri in greco e in demotico. La piccola città aveva funzioni religiose legate al culto del dio coccodrillo Soknopaios, creatore dell’Universo e dispensatore di oracoli. Un grande tempio interamente conservato e una via processionale dominano l’area archeologica. Oltre al rilievo topografico delle strutture visibili, la Missione leccese sta documentando il sito con tecniche 3D. Lo scavo archeologico ha posto in luce il tempio del dio Soknopaios, costruito in blocchi di calcare, e il suo contra-temple, ovvero un santuario aperto al pubblico, qui particolarmente monumentale, dotato di 12 colonne con capitelli egizi compositi. Tra gli oggetti rinvenuti (papiri, frammenti di ceramica, scritti, statue, iscrizioni, mobili, armi) vi è un eccezionale modello architettonico in pietra e in scala 1:12 del contra-temple, che era stato conservato all’interno del tempio. Un plastico del sito archeologico, realizzato da G. Manisco, grazie alla sponsorizzazione di L. Trombi, è esposto nel Museo Papirologico dell’Università del Salento, in una mostra permanente dedicata agli scavi.

Shahr-i Sokhta, Sistan-va-Baluchistan, Repubblica Islamica dell’Iran

Concessione di ricerche e scavi archeologici del Research Institute of Cultural Heritage and Tourism of the Islamic Republic of Iran – (anni 2016-2021)

Concessionario: Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento

Direttore di scavo: dottor Enrico Ascalone

Un nuovo progetto internazionale è iniziato nel 2017 a Shahr-i Sokhta, sito di ca. 200 ettari inserito nella lista World Heritage dell’UNESCO, che sorge nell’attuale provincia del Sistan, in Iran orientale. Le ricerche di scavo, affiancate da studi topografici, geo-fisici, paleo-ambientali, paleo-botanici, archeo-zoologici, demografici e antropologici, si sono concentrate presso l’Area 33, permettendo di identificare 4 fasi strutturali che coprono un periodo circoscritto tra il 3000 e il 2450 a.C.

Fase 1: SiS III: 4/3 – 2600-2450 a.C. La fase più tarda è rappresentata da un complesso (Edificio 33) particolarmente significativo per la sua articolata settorializzazione funzionale. Dal suo interno provengono 37 vasi in alabastro e numerose perle in lapislazzuli e corniola.

Fase 2: SiS III:5b/4 – 2650-2600 a.C. La fase 2 è conosciuta in aree di occupazione che persistono sulle vecchie strutture. Numerose sono le fornaci identificate destinate alla lavorazione del bronzo.

Fase 3: SiS II:5a – 2850-2650 a.C. Questa fase è conosciuta dalla presenza di un edificio (Casa delle Corti), leggermente rettangolare, al cui interno furono rinvenute centinaia di cretulae, impronte di sigillo e sigilli in pietra.

Fase 4: SiS II:6 – 3000-2850 a.C. A causa delle sovra-esistenti strutture della fase 3, questo periodo non è indagato nella sua interezza, sebbene abbia permesso di identificare due maggiori complessi architettonici (Casa dell’Architettoed Edificio Orientale). Presso la cosiddetta Casa dell’Architetto 103 straordinarie proto-tavolette con annotazioni contabili sono state rinvenute.

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