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Si voterà nelle scuole che dovranno continuare ad essere chiuse. Burocrazia o incapacità?

 Salvo un asteroide con influenze chimiche che piombi sul senno dei nostri amministratori nazionali, sembra proprio che il prossimo voto del 20-21 settembre continuerà ad essere esercitato nelle strutture scolastiche. Che per l’occasione dovrebbero riaprire a partire dal 14 settembre, ma Puglia e Campania hanno fatto sapere che loro riaprono il 24 e il Sindaco di Venezia dice che vorrebbe farle riaprire il 10 ottobre.
Quindi, le scuole riaprono e dopo una settimana richiudono (tranne Puglia e Campania e forse Venezia… repubblica tornata agli antichi fasti… non faceva parte del Veneto?). Studenti gaudenti, ovviamente… comprensibilmente gaudenti ché in certi istituti, a parte gli amici e le amiche e le occupazioni (quando c’erano), che ci si sta a fare? Poi, dopo le scuole da casa che hanno fatto a meno delle interrogazioni, ancora meglio.
Il tentativo di fare come in tanti altri Paesi del mondo in cui le scuole rimangono aperte anche durante il voto, che viene esercitato nelle stesse scuole o in altri edifici di pubblica proprietà, è naufragata sul nascere. Figurarsi che era stato chiesto a Poste spa di usufruire della loro rete di uffici sul territorio, ma hanno declinato perché, dicono, non hanno voglia di chiudere (che questo era per loro l’unico metodo per utilizzare le loro strutture). Mobilitata l’Anci (l’associazione nazionale Comuni d’Italia), ma sembra che gli edifici delle amministrazioni cittadine non abbiano spazi alla bisogna, neanche, dove ci sono, nelle sedi di quartiere, municipalizzate et similia. Insomma non se ne parla. Neanche, magari, con quei tendoni che abbiamo visto comparire in diverse piazze e spazi per l’emergenza coronavirus. O nelle università. O nei musei (ogni paesino in Italia, grossomodo, ne ha uno o più). O nelle caserme. O nei centri commerciali (che se glielo chiedi
ti aprono le porte di corsa). Neanche quelli.

Di fatto, ammesso che le scuole aprano i battenti il 14 settembre, a scuola ci si andrà dopo le elezioni. E sempre ammesso che non si sia una qualche nuova ordinanza di confinamento che consideri ancora pricolosa la promiscuità nelle aule… ché, allo stato delle procedure di sicurezza pandemica, non sarebbero sufficienti, così come non sarebbero sufficienti gli insegnanti… ma questo è un altro discorso.

Si potrà dire che gli studenti delle inferiori stanno così dando il loro contributo alla definizione del processo legislativo della nostra democrazia. Così forse scriveranno alcuni storici. Altri, invece, forse scriveranno che la scuola è stata considerata per l’ennesima volta la cenerentola del nostro sistema sociale, politico ed economico. Come è accaduto col confinamento e come si nota ora con le difficoltà per la riapertura a settembre.
Un Paese senza scuola, lo avrà scritto più di qualcuno, è un Paese senza futuro. Un Paese in cui la scuola non è al centro di tutto, più della stessa produzione economica, è un Paese destinato a continuare a vivacchiare; a produrre intelligenze solo grazie ai singoli DNA (stimolati dall’impegno delle singole famiglie, quelle che possono permetterselo) e non con l’opportunità per tutti. Ogni tanto, come i calciatori che vengono scelti nei Paesi più disgraziati del nostro, qualcuno si fa notare dai reclutatori, e riesce ad avere più fortuna degli altri.
Un mondo al contrario. Che investe, poco, sul presente, molto sul passato (sì da avere il pieno di turisti che mangiano focacce e comprano oggettini sulle bancarelle) e pochissimo sul futuro.

Ma perché? Burocrazia o incapacità di chi scegliamo perché ci governi? Bella domanda. Ma una cosa è certa. Se non ci sta bene e stiamo zitti oppure “bubiamo” al bar con o senza mascherina, siamo complici. Il silenzio è complice.

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