header photo

ingrandisci il testo rimpicciolisci il testo testo normale feed RSS Feed

Specie aliene nell’Adriatico. Ora anche l’ostrica perlifera (pinctada radiata) diffusa in tutto l’indo pacifico, scoperta nella vicina Croazia

Il riscaldamento delle acque del Mediterraneo, fenomeno del quale non può darsi atto, ci dovrà fare abituare alla scoperta costante di specie non endemiche nei prossimi decenni. E così apprendiamo che nella vicina Croazia e proprio di fronte alle coste del Nord della Puglia, gli esperti dell’Istituzione pubblica per la gestione delle aree naturali protette della contea di Dubrovnik-Neretva si sono trovati di fronte a qualcosa che non si aspettavano. Tutto nasce dalla realizzazione del progetto denominato “Conservazione della cozza penna nell’Adriatico”, un’importante iniziativa per la tutela della pinna nobilis, il più grande mollusco bivalve del Mediterraneo inserito nella Lista rossa IUCN (L’Unione internazionale per la conservazione della natura, abbreviato in IUCN dall’inglese International Union for the Conservation of Nature), come specie in pericolo critico di estinzione. I ricercatori quando hanno recentemente verificato i collettori installati nelle baie di Blace e di Mali Ston, non hanno trovato i gusci di cozze pinne, ma una specie “nuova” di molluschi anch’essi bivalvi che non è endemica del Mediterraneo: la Pinctada radiata, meglio conosciuta come l’ostrica della perla. A differenza del nome comune l’ostrica perlifera atlantica è molto diffusa in tutta la zona oceanica Indo-Pacifica, dall’estremo nord in Giappone fino ad arrivare all’estremo sud in Australia ed è pescata soprattutto nel Qatar e nelle acque del Barhein tant’è che viene denominata anche Ostrica perlifera del Golfo. Il bivalve in questione misura dai 50 ai 65 millimetri ed ha una forma squadrata, sottile e quasi compressa con evidenti anelli di crescita sulla superficie esterna superiore del mollusco. Al di là della forma particolare, questi molluschi presentano caratteristiche colorazioni marrone scuro o rosse, creando macchie più scure sulla superficie calcarea del guscio. L’interno può essere di color crema con sfumature argento, rosa o addirittura verdi e le perle prodotte da questo invertebrato hanno le stesse tonalità, essendo la madreperla sempre la stessa con la quale l’interno del guscio è ricoperto. La Pinctada radiata è comunemente diffusa grazie al suo straordinario spirito di adattamento sia in ambienti subtropicali che per la sua capacità di sopravvivenza anche in acque inquinate. Si tratta di un mollusco che si attacca solitamente a sostegni solidi, come rocce o relitti tra i 5 e i 25 metri di profondità. Inoltre, è un organismo ermafrodita, che si riproduce in base alla temperatura. Il fatto che sia stata “scoperta” sull’altra sponda dell’Adriatico dopo che è stata documentata oltre trent’anni fa a Lampedusa, dove è divenuta abbondantissima e nella sua risalita in tutto il Mar Ionio fino allo Stretto di Messina, per poi valicarlo raggiungendo le più vicine acque tirreniche (Capo Vaticano, Milazzo), fino ad approdare in Liguria, fa presumere che sia presente anche sulle coste del canale d’Otranto e della Puglia. C’è da dire che, per principio, l’arrivo di una specie estranea all’ecosistema originario determina sempre un certo scompiglio, e nel caso delle specie invasive può portare all’ulteriore deterioramento dell’ecosistema stesso, alla perdita di specie indigene importanti, veicolare nuove patologie. Ma non dovrebbe essere questo il caso dell’ostrica perlifera atlantica, che sembra essersi integrata nell’ecosistema senza portare alcun stravolgimento. Un caso ben diverso, per intenderci, del famigerato “verme cane” che sotto la spinta del riscaldamento globale e avvantaggiandosi di locali condizioni di degrado, pur non essendo un ospite alieno è diventato un indesiderato organismo infestante così come ne sanno i pescatori dei palangari o di tramaglio che si trovano i pesci divorati già solo qualche minuto dopo che il pesce è stato preso all’amo o è stato catturato nella rete. Quella della pinctada è solo l’ennesima prova, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello  Sportello dei Diritti, di un clima che cambia verso il riscaldamento delle acque e che trasporta con sè e fa diffondere a ritmi più elevati e a latitudini sempre più alte, specie che prima non si trovavano nei nostri mari.

Nessun Commento

Sia i commenti che i trackback sono disabilitati.


Vuoi essere il primo a lasciare un commento per questo articolo? Utilizza il modulo sotto..

Spiacente, i commenti sono chiusi.